Hannibal 2x05, Mukozuke - La recensione

Il quinto episodio della seconda stagione di Hannibal è un gioco di specchi e ritorsioni pericoloso per tutti i personaggi, soprattutto per il dottor Lecter...

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Spoiler Alert
"Tutte le cose che ci rendono ciò che siamo... cosa deve succedere, perché esse cambino?"

Questa frase, pronunciata dal chirurgo - e pluriomicida - Abel Gideon (Eddie Izzard), riassume al meglio il senso della quinta puntata della seconda stagione di Hannibal, costruita mirabilmente su parallelismi e ribaltamenti che sottolineano, ancora una volta, la cura narrativa dello show creato da Bryan Fuller, che sta riscontrando crescenti e impressionanti consensi di critica e un incremento degli ascolti in grado, ci auguriamo, di salvarlo da una chiusura prematura quanto immeritata.

Avevamo lasciato la giovane agente FBI Beverly Katz (Hettienne Park) nell'antro del mostro, alias casa Lecter, dove il perfido psichiatra cannibale aveva messo bruscamente fine all'indagine della ragazza, in cerca (su consiglio di Will Graham) di un collegamento tra lo Squartatore di Chesapeake e l'emulatore delle gesta di quest'ultimo, che nel terzo episodio fece fuori ben due ostacoli frapposti tra Will e l'assoluzione giudiziaria.

Mukozuke si apre con un montaggio che, sulle note delle Scene Infantili di Schumann, alterna la raffinata colazione del dottor Hannibal Lecter (Mads Mikkelsen) e lo squallido pasto carcerario del povero Will Graham (Hugh Dancy), a sottolineare ancora una volta la paradossale situazione dei due uomini, l'uno posto a espiare le colpe dell'altro.

Hannibal non è solo: gli fa visita infatti Jack Crawford (Laurence Fishburne), agente federale cui lo psichiatra ha risparmiato il cordoglio di una vedovanza improvvisa nella scorsa puntata. Mentre, in sottofondo, le note di La cattedrale sommersa di Debussy risuonano con tranquilla solennità, Jack ringrazia Hannibal per aver salvato la moglie Bella dal suicidio. "Sei un grande amico" dice l'agente, e l'espressione imperscrutabile di Hannibal si adombra per un secondo.

Non è difficile capirne il motivo: pochi minuti dopo, a seguito di una soffiata anonima fatta alla giornalista Freddie Lounds (Lara Jean Chorostecki), Jack e la sua squadra devono piangere l'avvenuto ritrovamento del cadavere di Beverly, sezionato verticalmente come fosse destinato a un'esposizione scientifica, in una sorta di macabro omaggio alla meticolosità mostrata sempre dalla ragazza nel proprio lavoro sulle scene del crimine. Il dolore per la scomparsa della sua protetta - sentimento a cui Crawford, purtroppo, non è nuovo - porta l'agente a un gesto radicale: consente a un disperato Will, afflitto dai sensi di colpa, di visitare il luogo del delitto, alla ricerca di una qualsiasi prova che possa condurre all'assassino di Beverly. E la prova c'è, perché l'omicida ha preso i suoi trofei: i reni della ragazza sono stati scambiati con quelli di James Gray, serial killer al centro della seconda puntata, Sakizuki.

Will sa bene con chi ha a che fare, e per una volta evita di pronunciare il nome di Hannibal, in un gesto di reticenza che ha il retrogusto ben riconoscibile di una vendetta sanguinaria. Perché sì, Will è cambiato, come dice Abel Gideon, che con lui ha avuto un dialogo rivelatore. È cambiato, e non per il meglio: se qualcuno non lo fermerà, presto il giovane si ritroverà nel ruolo da cui finora ha cercato di fuggire con ogni forza. Ha dentro di sé il germe del male, e mai come in questa puntata vediamo le devastanti potenzialità di questa gemmazione ferina. Conscio che, lì fuori, qualcuno lo ammira - o meglio, ammira i crimini di cui è ingiustamente accusato - fino al punto di uccidere per scagionarlo, il nostro protagonista si decide a compiere l'estremo passo: tramite il poco onorevole altoparlante mediatico della spregiudicata Freddie Lounds, riesce a contattare l'emulatore, venendo a conoscenza di una verità scomoda: l'assassinio del giudice, mossa decisiva per la sospensione di un processo che avrebbe certamente portato Will alla pena capitale, non è opera del suo ammiratore. Qualcun altro voleva salvarlo, qualcuno che ha distrutto la sua mente con pazienza certosina; qualcuno che Will conosce fin troppo bene, e del cui sangue è però pronto a macchiarsi le mani, anche se solo per delega.

La metamorfosi è ormai in atto, esplicitata in una suggestiva scena da incubo in cui l'ex profiler, mentre attende nel buio della sua cella che venga perpetrato il suo delitto su commissione, sente la pelle del corpo spaccarsi per far strada alle corna di cervo che, sin dalle prime puntate dello show, hanno simboleggiato l'omicidio. Will ha fatto "ciò che doveva essere fatto", ma il suo piano è stato ascoltato da orecchie indiscrete: la scena finale nella piscina dove Hannibal sta nuotando tranquillamente è un rapido crescendo, culminante in una messinscena teatrale, che nulla ha della sinistra raffinatezza delle "opere" del dottor Lecter. L'emulatore di Will, nonché suo sicario, inscena un'impiccagione che ricalca, con povertà di mezzi, una crocifissione che stride col suo Messia: Hannibal è finalmente vittima, nudo e indifeso, incapace di dissimulare la propria natura di fronte all'ultimo degli squilibrati, lui che è riuscito a ingannare tante menti brillanti.

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In un ennesimo capovolgimento che ha, in fin dei conti, il sapore della beffa, il sicario rivela all'incredulo e devastato Hannibal il nome del suo mandante. Certo, tiriamo un sospiro di sollievo di fronte al salvataggio in extremis dello psichiatra da parte di Crawford e della bella Alana Bloom (Caroline Dhavernas), in una sequenza che ripropone senza autocompiacimento l'iconografia classica della deposizione dalla croce. Ma la serie di Bryan Fuller non si concede mai un vero e proprio punto e a capo drammatico: in questo domino frenetico e angosciante, non c'è più tempo per riposare i polmoni affaticati. Hannibal si sente braccato, ha visto la morte in faccia ed è giunto a un passo dall'abisso: logico prevedere che, nelle prossime puntate, farà le sue contromosse per precipitare l'amato/odiato Will Graham nel baratro sul cui bordo si muovono da ben due stagioni. E, poco ma sicuro, questa danza macabra senza esclusione di colpi continua a essere, settimana dopo settimana, un piacere irrinunciabile per gli occhi e la mente.

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