Hanna (seconda stagione): la recensione
La seconda stagione di Hanna rappresenta senza dubbio un netto passo in avanti della serie Amazon rispetto allo scorso anno
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La seconda stagione di Hanna rappresenta senza dubbio un netto passo in avanti della serie Amazon rispetto allo scorso anno. Dove i primi otto episodi dello show erano una versione (troppo) estesa del film diretto da Joe Wright, questo nuovo blocco di puntate trova per sé quel senso che avrebbe dovuto avere fin da principio. Diventa un progetto più compiuto, che gestisce meglio il ritmo interno, che introduce nuovi personaggi e che su questi si basa per far funzionare l'intreccio. Curiosamente, alla fine non saranno né Hanna né Marissa (Esme Creed-Miles e Mireille Enos) i personaggi più interessanti.
Qui la serie si appoggia, solo per quel che le serve, ad un'impostazione – forse già invecchiata in fretta – da distopico young adult. C'è la struttura controllata dagli adulti di cui non ci si può fidare in cui le giovani sono manipolate, costrette a lottare, inserite in categorie, usate come strumenti. Hanna è l'elemento ribelle ed estraneo, la ragazza che, almeno per quello che ci aspettiamo, non dovrebbe piegarsi e anzi dovrebbe combattere questa stessa struttura. Ma dove la freddezza della protagonista è un tratto distintivo che ci aspettiamo di vedere, la scrittura trova il modo di emergere per contrasto, passando davvero molto tempo con tutte le altre cavie di Utrax. Su tutte, Sandy si conferma come il personaggio più interessante della serie, quello che trova il modo di risaltare di più.
In questa concatenazione di eventi molto ferrea, Hanna diventa un'esperienza di visione più fluida e piacevole.