Hanna - la recensione
Che succederebbe se Jason Bourne allenasse Mowgli con lo scopo di uccidere sua madre? Hanna dà una risposta meno interessante della domanda...
Esiste una categoria di film molto precisa, quelli che iniziano alla grande e lentamente si disfanno con il loro incedere. Film che partono mettendo sul tavolo le migliori idee oltre alle migliori intenzioni e lentamente distruggono quello che avevano suggerito di voler fare con la sistematica banalizzazione dei contenuti. Solitamente, in questi film, a una storia e uno svolgimento che tendono allo stereotipico corrisponde una forma estremamente ricercata che anch'essa lentamente passa dall'originalità alla banalità da videoclip.
Joe Wright è determinato a raccontare una storia di contrasto tra il massimo della purezza e il massimo della contaminazione (temi non nuovi per lui). Una ragazza cresciuta nei boschi senza il minimo contatto con qualsiasi forma di tecnologia o di corruzione sociale (però mena!) contrapposta ai servizi segreti che operano al di fuori della legalità per proteggere se stessi. Jason Bourne incontra Mowgli. L'idea è subito vincente perchè l'Hanna del titolo è davvero in bilico tra purezza e violenza e sembra quasi affermare come la violenza della vita animale sia essa stessa una forma di purezza.
Da che il rapporto tra personaggio e paesaggio creava significati aggiunti ad una storia di ricerca d'identità e conquista della propria vita (un paradossale romanzo di formazione), il film riduce la sua ampiezza, dimentica il contesto e si concentra sull'azione dimenticando quel che dovrebbe originarla.
Non ci fosse Cate Blanchett, che come sempre onora il suo ruolo confezionando un cattivo d'eccezione tutto sorrisetti imbarazzati, desideri inespressi e compostezza, capace di microslanci sentimentali con uno sguardo, Hanna arrivato al fotogramma finale davvero non avrebbe più la minima credibilità.