Halt and Catch Fire (seconda stagione): la recensione

Halt and Catch Fire è una delle migliori serie in onda: ecco come lo show della AMC ha vinto la scommessa della seconda stagione

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Spoiler Alert
Avete presente quelle serie bellissime, magari anche apprezzate dalla critica, ma che non vede nessuno? Sono piccoli miracoli televisivi che non vanno oltre la prima stagione e che ci lasciano con il rimpianto di sapere cosa sarebbe accaduto, se la promessa sarebbe stata mantenuta, e invece sono condannate a morire giovani e a rimanere perfette e immacolate nell'immaginario collettivo. Halt and Catch Fire avrebbe potuto essere una di queste, ma la AMC ha deciso di investire e rischiare sui talenti piuttosto che sui numeri – un'idea decisamente vicina alle vicende della serie – e di realizzare una seconda stagione. Ed è stato magnifico. La serie di Cantwell e Rogers si scrolla di dosso l'etichetta di rivelazione e si artiglia con forza ad un approccio ancora più maturo e curato. Halt and Catch Fire è una delle migliori serie in onda in questo momento.

Se il primo episodio della stagione aveva disintegrato il gruppo, già abbastanza provato dopo gli eventi del season finale dello scorso anno, il resto dell'annata ha proceduto a riavvicinarli. Un po' per caso, un po' per coincidenze, un po' per volontà loro, i quattro pilastri dello show si sono incontrati ancora, ora nella parte della preda ora in quella del predatore, pronti a sostenersi e a urlarsi addosso, a tradirsi e a ritrovarsi. Senza mai arrivare ad un obiettivo, perché questo non esiste, perché nella rivoluzione informatica degli anni '80, come sosteneva Joe MacMillan (Lee Pace) presentandosi lo scorso anno “computers aren’t the thing. They’re the thing that get us to the thing”. Quale sia questa cosa non è dato saperlo: forse un vago senso di completezza e autorealizzazione che comunque non potrà mai tradursi in nulla di tangibile e soprattutto soddisfacente, perché la felicità non è per queste persone.

Tutto ruota intorno al tentativo di rilanciare e sostenere Mutiny, il collettivo apparentemente democratico guidato da Cameron (Mackenzie Davis) con il supporto fondamentale di Donna (Kerry Bishè). La giovane e immatura programmatrice dello scorso anno non è del tutto scomparsa, commette degli errori, impara a sue spese cosa voglia dire sviluppare un progetto e lanciarsi in un mercato tutt'altro che facile. Ma ha anche la forza di crescere e di assumersi il rischio di responsabilità dalle quali non fugge, compromessi imprescindibili per chi non vuole lasciar inquinare il proprio sogno da qualcun altro, sia Donna con i suoi soldi, sia Joe con le sue proposte di acquisizione, sia Gordon (Scoot McNairy) con il suo maldestro tentativo di migliorare il sistema.

Donna da parte sua è il personaggio che ha guadagnato di più dallo scorso anno a questo. Già nella prima stagione era tutt'altro che la moglie insoddisfatta di Gordon – come Cameron la liquiderà ad un certo punto – ma quest'anno ha davvero fatto un salto in avanti. Nessuno in questa serie coincide e viene limitato dal ruolo che rappresenta, ma ognuno vive in funzione dello status che ha in quel momento, e Donna, che è madre, moglie, imprenditrice, rappresenta al meglio questa idea. Tra le altre cose Halt and Catch Fire è una serie che parla al femminile nella seconda stagione. L'indefinibile rapporto tra Cameron e Donna, fatto di amicizia, complicità, rancori, compromessi, fragilità è figlio di una scrittura attenta alle sfumature e a sfuggire da facili etichette e stereotipie varie, ed è una delle cose migliori di quest'anno.

Poi c'è Joe, che sempre più assume i contorni di un Don Draper proiettato una ventina di anni in avanti. Non è soltanto lo spregiudicato arrampicatore sociale che vende facili slogan e sogni astratti. La crisi personale che ha vissuto alla fine dello scorso anno e la pugnalata alle spalle ricevuta dalla Cardiff ne hanno spezzato le possibilità economiche e una parte di autostima, ma non hanno soffocato del tutto la sua indole. E convivono queste due anime, quella dell'uomo d'affari che vuole emergere, che vuole fare la sua parte perché sa di meritarselo, anche manipolando il prossimo, e quella dell'uomo ferito, che ama davvero sua moglie, che non ha del tutto rinunciato a Cameron, che potrebbe vivere anche senza un appartamento che occupa un piano intero se solo fosse convinto – e lo era – che ne vale la pena. Per tutta la stagione Joe si sente ripetere che è un mostro, che ha sposato la figlia di un miliardario per interesse, che non ha onore, e finisce per crederci davvero, rinunciando a tutto ciò che aveva costruito.

Gordon è il più sacrificato dei quattro. La liquidazione della Cardiff e la relativa, ma temporanea, soddisfazione lo hanno un po' bloccato. Per lui la scoperta di una malattia, che però almeno in questa stagione si risolve in un nulla di fatto, quasi un riempitivo al pari del singolo episodio di infedeltà che lo vede coinvolto. Comunque Gordon vive della luce riflessa di tutti gli altri, soprattutto Donna, e quindi non ne soffre più di tanto. Grande ritorno anche per John Bosworth (Toby Huss), quasi un quinto protagonista quest'anno, determinante in più di un momento.

I personaggi – così imperfetti e mai scontati – rimangono il nucleo pulsante e luminoso di questa serie, per ricordare un elemento della bellissima opening. Halt and Catch Fire, sotto una superficie di silicio, rimane soprattutto il racconto di un quadrilatero di affinità elettive, di ruoli scomodi respinti con forza e accarezzati di nascosto, narrato con ritmo inarrestabile, amore per la scrittura, capacità di emozionare e sorprendere. Arrivare al limite di un personaggio, toccare la parete e farla crollare, scoprendo un nuovo strato rimasto nascosto, ma tremendamente coerente con quello che c'era prima: questo è il segreto di una bella storia. Come in Mad Men, narrare il lato oscuro del successo o della ricerca di questo, tendere ad un modello di perfezione prefabbricata e irraggiungibile, ad un futuro che non arriverà mai perché non sarà mai definitivo.

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