Halt and Catch Fire (quarta stagione): la recensione

Seguiamo negli anni '90 Joe MacMillan e gli altri protagonisti di Halt and Catch Fire, nell'ultima stagione della serie della AMC

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È sempre esistito un filo rosso che collegava tra il tempo e lo spazio Halt and Catch Fire a Mad Men, al di là del comune network. In entrambi i casi osserviamo uomini e donne brillanti, spesso chiusi in una stanza ad operare seguendo una rigida metodologia, lo status professionale come inquadramento dell'umanità tutta. E non si tratta solo della fredda applicazione di regole precostituite, ma della continua messa in discussione della posta in gioco tramite la ridefinizione di strumenti e obiettivi. Halt and Catch Fire è stata una serie estremamente intelligente, in primo luogo perché lo erano i suoi protagonisti. E tanto nella serie di Matthew Weiner quanto in quella di Cantwell e Rogers ciò è sempre bastato.

Dopo quattro stagioni sempre in sordina, a sopravvivere come prodotto di nicchia, Halt and Catch Fire è giunto alla sua naturale conclusione. Lo ha fatto rimanendo fedele al proprio status di serie colta, ma accessibile, scritta e diretta splendidamente, e altrettanto ben interpretata. Nella quarta stagione viviamo insieme ai protagonisti un salto temporale inatteso, ma funzionale alla trama. Ci spostiamo quindi negli anni '90 (clamorosi i primi minuti della stagione che raccontano tramite una serie di transizioni lo stacco temporale) per raccontare un altro stralcio, sempre più decisivo, della rivoluzione digitale seguita per oltre un decennio. Tra una partita a Super Mario Kart e Doom, la rete si impone come la nuova frontiera da conquistare per i pionieri del cyberspazio.

Per quanto riguarda gli equilibri personali del gruppo, Halt and Catch Fire poggia sull'eredità della stagione precedente. Abbiamo quindi Joe MacMillan, Gordon Clark e Cameron Howe da un lato e, quasi in contrapposizione nelle prime puntate, Donna Clark dall'altro. La dialettica professionale diventa come sempre ora schermo ora scudo di personalità estreme, che si intrecciano, si odiano, si amano, semplicemente si assomigliano. Con le loro sfaccettature estremamente particolareggiate, i protagonisti della serie riconducono il loro agire ad un'inquietudine di fondo. Da un lato un malessere personale, soprattutto nel caso di Cameron e Joe, che non permette loro di vivere con normalità i sentimenti, dall'altro lo spettro del mercato e la frenetica rincorsa del solito obiettivo che in realtà non potrà mai essere raggiunto.

Questa quarta stagione aggiunge poco alle motivazioni già esplorate nelle stagioni precedenti, le stesse che l'hanno resa uno dei migliori prodotti degli ultimi anni. È stata una stagione che ha parlato più al femminile, concentrandosi su quanto i personaggi di Donna e Cameron avevano da dire. La prima inizia interpretando con grande convinzione un ruolo che si è cucita addosso, ma che nasconde una grande fragilità. Per la seconda si tratta di cercare nuovi punti di riferimento, nuovi modi di interpretare a distanza il rapporto con gli altri, e non è detto che questo porti a un esito positivo per il personaggio.

A dire il vero questa non era nemmeno iniziata come la loro storia. Si era partiti tanto tempo fa, da una sorta di Steve Jobs che trascinava nei suoi deliri digitali un'altra persona facendo le ore piccole in un garage. Joe qui assume invece una maturità che, se non si esplica in percorsi tradizionali – sarebbe chiedere troppo – quantomeno lo mette di fronte a possibilità mai considerate nella sfera personale. Gordon ancora di più guarda con distacco al resto del gruppo, ormai punto di riferimento per tutti.

Vecchie tematiche per chi questa serie l'ha seguita fin dall'inizio. Qui c'è tutto ciò che si può chiedere ad una serie di qualità: una invidiabile coerenza interna, e la capacità di reggere le sorti di pochi personaggi conducendoli attraverso una sottile, ma magnifica evoluzione. Che non deve manifestarsi attraverso esplosioni di scrittura o intrecci elaborati o twist inattesi, perché contiene in sé il germe della tragedia umana che ha solo bisogno di ottimi personaggi per funzionare. Di questo avremo la perfetta prova nel magnifico dittico di episodi Who Needs a Guy e Goodwill. Ecco, per certi versi Halt and Catch Fire finisce qui. Come Ozymandias per Breaking Bad e soprattutto lo straordinario Ecotone di Six Feet Under, questa è la soglia oltre cui lo sguardo della scrittura, e dello spettatore, faticano a spingersi, l'epilogo necessario, ma appunto solo un epilogo.

C'è grandezza e umanità in questa serie, che chiude il suo percorso praticamente senza macchie o cedimenti, ma anzi confermandosi per la quarta e ultima stagione. Senza dubbio verrà riscoperta nei prossimi anni.

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