Halston: la recensione
Halston, miniserie Netflix con Ewan McGregor, racconta una classica storia di ascesa e caduta ambientata nel mondo della moda
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Halston è sigarette, occhiali da sole e brand. Tantissimo brand. Il nome del protagonista della nuova miniserie Netflix verrà pronunciato tantissime volte nel corso delle puntate, ma altrettante saranno le volte in cui la scritta "Halston" campeggia nelle scene, dominando la narrazione. È questo l'aspetto più interessante di una storia scritta su binari sicuri e rodati, raccontata in modo meccanico, per quanto efficiente. L'idea dell'uomo che diventa marchio, e a quella proposta di mercato aderisce con tutto se stesso. Mutando posa, linguaggio, vestiario. Una classica storia di ascesa e caduta ambientata nel mondo della moda.
Nella costruzione dell'intreccio la storia sceglie la strada più battuta e canonica. La prima scena già definisce il personaggio: un bambino nel Midwest, un genitore che urla, lui che intreccia dal nulla una composizione per un cappello da regalare alla madre. Il personaggio è già lì, nel suo trauma infantile e nel rifiuto di un'origine che cercherà di scrollarsi di dosso appena possibile. Ma che sarà sempre lì, nel subconscio, a determinare la mancanza di felicità che pure dovrebbe essere facilmente alla sua portata dato il successo e la ricchezza.
Ewan McGregor fa un bel lavoro nel dare una doppia lettura al ruolo (lui che ne aveva interpretati due in Fargo). Halston è una persona, ma anche un brand. E la prima scomparirà, trasformandosi nella necessaria estensione di un artista che deve vendere prima di tutto se stesso. E che metterà il suo nome – che sarà sempre meno suo – su ogni articolo. A quel punto gli scambi migliori saranno quelli con David Mahoney e Liza Minnelli (Bill Pullman e Krysta Rodriguez, quest'ultima la più sorprendente del cast). Attraverso questi confronti abbiamo i migliori lampi di umanità su un personaggio con il quale per il resto faticheremo a empatizzare.