Halloween Ends, la recensione
Con l'ultimo capitolo della sua trilogia David Gordon Green riesce a tirare le fila di una saga intera, trovando un senso a tutto
La recensione di Halloween Ends, dal 13 ottobre al cinema
Per tutta la prima parte, nonostante non manchino delle morti e ogni due dialoghi esca fuori il nome di Michael Myers, sembra di assistere a un film con finalità romantiche, uno molto ben fatto. Sarà poi l’arrivo della società, cioè degli altri, a virare tutto facendo tornare a galla il male. Nel film precedente infatti Michael Myers era stato preso dalla folla, era stato insultato e menato prima di vendicarsi come suo solito. Probabilmente si deve essere risentito di questo linciaggio e si è così ritirato, ma in una mossa da Stephen King (non l’unica del film) in realtà attende solo nell’ombra il momento in cui il suo male possa trovare nuove persone insoddisfatte da possedere.
C’è molto in quest’ultimo film l’idea tipica di King che le persone siano peggiorate dalla famiglia, dalla società e dagli uomini intorno a loro, e quindi che il male di fantasia della storia sia sempre espressione o allegoria del male reale che ci facciamo noi a vicenda, dei pregiudizi, dell’arroganza e dell’oppressione degli esseri umani su altri esseri umani. Ad un certo punto Michael Myers sembra infatti quasi IT. La cosa potrebbe dare fastidio, perché non è quella la sua natura né lo spirito dei suoi film, tuttavia forse è la maniera migliore di trovare un senso e una chiusa a questi tre film.
Un finale tanto auspicabile quanto efferato dimostrerà come non tutto quello che sembra giusto in teoria poi non necessariamente lo sia quando lo vediamo avvenire, lasciando lo spettatore con più di una domanda sulla correttezza di ciò di cui è appena stato testimone.