Habit, la recensione
Pieno di riferimenti giusti ma fondato su un'immagine non così originale (ragazze lascive in abiti da suora) Habit è un film universitario
La recensione di Habit, disponibile su Prime Video dal 15 novembre
Il punto di tutto, sembra di capire, dovrebbe essere l’immagine di queste suore truccate e provocanti, con gli stivali colorati e il rossetto, corpi gaudenti e potenti invece che remissivi e castrati. Trasgredire (scusate per l’uso di questa parola) ma senza farlo davvero, perché poi a fronte di tutto questo desiderio di mostrare ragazze autonome e borderline, Habit ha paura di qualsiasi forma di vera trasgressione, è cauto e circospetto, non mostra nemmeno un capezzolo (anche dopo un amplesso Bella Thorne bada bene a tenere le coperte a copertura di tutto) e sta molto attento a tagliare via qualsiasi violenza fino ad un unico atto finale paradossale e grottesco, esagerato e non realistico. L’intenzione è chiara ma l’attuazione per nulla. Habit il cinema trasgressivo non sa dove sia di casa e se pure lo sapesse farebbe bene attenzione a tenersene alla larga. Quello che vuole è l’impressione di trasgressione, la sua versione semplificata.
InHabit di militante come sempre c’è solo Bella Thorne, un corpo che continua a stare ai margini dell’industria del cinema (e un film del genere è proprio il tipo di operazione che spera di ribaltare la situazione) anche se meriterebbe palchi e occasioni migliori. Anche qui, come in Time Is Up, è costantemente animata dal desiderio sessuale, qualsiasi cosa faccia, come fosse il suo propulsore e il suo mezzo espressivo migliore: un corpo che quando è in scena racconta il desiderio di desiderare, sempre lì lì per concretizzarlo ma condannata a non farlo mai (ci saranno degli amplessi in questo film ma l’impressione è sempre che siano dei contentini). Bella Thorne recita in un limbo di attese e pelle esposta un tabù che non viene mai sfondato: quello del godimento.