Gypsy (prima stagione): la recensione

La prima stagione di Gypsy, la serie Netflix con Naomi Watts, si rivela deludente sotto diversi aspetti

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Spoiler Alert
Alla base di Gypsy ci sono alcuni malintesi. Non si tratta di equivoci interni alla trama, ma di considerazioni che avvengono ad un livello più alto, invisibile per così dire. Ad esempio, si ritiene che un protagonista negativo di qualunque tipo eserciti sempre un certo appeal sullo spettatore, che può godersi le angherie del personaggio ai danni di chi gli sta intorno e continuare a fare il tifo per lui. Oppure, magari si crede che ogni narrazione si presti ad una trasposizione seriale, semplicemente tramite alcuni accorgimenti di scrittura che rendano il tutto più dilatato e frazionato. Da errate convinzioni come queste derivano conseguenze poco convincenti. Superfluo aggiungere come Gypsy, nuova serie di Netflix, sia l'esempio pratico di ciò.

La protagonista è la terapeuta Jean Holloway (Naomi Watts). La seguiamo sul lavoro e in famiglia. Conosciamo alcuni dei suoi pazienti e vediamo il modo in cui si rapporta a questi, quindi ci spostiamo in un contesto più intimo e scopriamo qualcosa del suo rapporto con il marito Michael (Billy Crudup). A rompere la grigia routine è l'incontro con la barista Sydney (Sophie Cookson), dalla quale Jean rimane affascinata e con la quale instaura una relazione pericolosa per più ragioni. A complicare il tutto, un suo paziente di nome Sam (Karl Glusman) è l'ex fidanzato di Sydney.

L'inquadramento iniziale di Jean Holloway ha qualcosa che potrebbe ricordare le “casalinghe disperate” di Big Little Lies. Si pone una base di apparenza incontaminata, e poi si lascia germogliare sotto la superficie e dietro le mura domestiche un senso di insoddisfazione pressante, che sfocia in atti devastanti. Eppure le somiglianze con la serie HBO terminano qui. A mancare è l'umanità di quelle figure, fallibili e antipatiche in alcuni frangenti, ma anche capaci di suscitare empatia e comprensione (il personaggio di Reese Whiterspoon era un esempio di equilibrio perfetto in ciò).

Jean Holloway fraziona il proprio essere in una moltitudine di personaggi che hanno tutti il volto di Naomi Watts, ma che non si amalgamano tra di loro. E, a voler restituire a tutti i costi un quadro coerente di una personalità distorta, ne emerge un personaggio distaccato e irritante. Come terapeuta è inaffidabile e pericolosissima, come madre e moglie dimostra di non avere a cuore il benessere della propria famiglia, dietro ogni gesto d'amore abbiamo sempre la sensazione che si nasconda il desiderio di compensare il male che sta compiendo. Si tratta di un personaggio immaturo e arrogante, che conosciamo più attraverso le bugie che dissemina senza sosta che per le ragioni profonde da cui questo dovrebbe scaturire. È qui che la scrittura della serie di Lisa Rubin dovrebbe puntare, e invece tutto viene confinato ad un imprecisato stato di insoddisfazione.

Gypsy è un thriller dalle presunte venature erotiche. Presunte perché deducibili dalla trama e dagli snodi centrali dei conflitti attraversati dai personaggi, compreso il marito di Jean. Ma in realtà il senso di angoscia latita, anche perché quasi vorremmo veder crollare il castello di bugie della protagonista, mentre la tensione sessuale non si avverte e non viene nemmeno perseguita da una serie che si trattiene molto sul versante visivo. Tutto è edulcorato e si mantiene ad un livello superficiale. Il tono stagionale è cupo e soffocante, la storia ruota intorno a snodi perseguiti ripetutamente, ma che costruiscono poco a livello di intreccio e profondità. A mancare è la chimica tra questi personaggi, più simboli di una vicenda che dovrà svilupparsi secondo snodi già previsti che altro. Ad esempio, dobbiamo credere che una collaboratrice dovrà innamorarsi del marito della protagonista perché si tratta dello sviluppo più convenzionale al quale pensare.

Sarebbe stato interessante giocare per contrapposizione (una buona amica, un'ottima professionista, una perfetta madre di famiglia), ma Jean è un personaggio indolente e immaturo in qualunque ambito, e nemmeno un'interprete straordinaria come Naomi Watts ha gioco facile nel confrontarsi con il materiale proposto.

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