Guerra e rivolta, la recensione: funziona praticamente tutto in questo film di duelli dall'anima politica

Il film Netflix sudcoreano non è solo un bel racconto epico ma uno dei prodotti storici più interessanti degli ultimi tempi

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Di solito quando in un film epico si sfida il potere regale è per arrivare in un secondo momento a restaurarlo. Non ci sono istituzioni deviate: solo sovrani più o meno buoni e legittimi, per cui lo scopo non è tanto abbattere l'autorità tout court quanto sostituire i cattivi coi giusti. Aragorn, Simba, Bowen di Dragon Heart, sono figure di un conservatorismo benevolo a cui nel fantasy e dintorni non si scappa quasi mai: paterno, saggio, spia di quella voglia di sicurezza e conferme morali che accomuna tante fiabe. Guerra e rivolta è sorprendente nel suo essere un quasi-fantasy (ispirato alla storia coreana ma narrato con lo stile iperbolico dell'epica asiatica, un po' Jidai-geki un po' Hong Kong) che rifiuta in modo nettissimo quelle conclusioni. Forse "comunista" è troppo (ma in che Corea siamo?). Di sicuro paritario e anti-aristocratico fino al midollo.

Si sa che fra Corea e Giappone non corre sempre buon sangue. Guerra e rivolta racconta uno dei casi più clamorosi, la Guerra Imjin o "dei sette anni" (1592-98) che vide i Giapponesi tentare l'invasione del paese in un conflitto sanguinosissimo. Guerra e rivolta è la storia di quel conflitto e contemporaneamente di un altro, tutto interno alla società coreana: quello tra i nobili e le masse contadine tenute in semi-schiavitù, mandate a morire in guerra con false promesse di libertà e sfruttate fino all'esaurimento nella successiva ricostruzione. In mezzo c'è la guerra personale di due spadaccini, uno figlio di nobili, l'altro uomo del popolo, che diventa un grande generale contro il Giappone per poi prendere le armi contro il suo re.

Non sempre è facile orientarsi nella storia, ma questo è sintomo della voglia di costruire un intreccio complesso, che spesso salta avanti e indietro nel tempo, confidando nell'intelligenza del pubblico per seguirne le linee tortuose e tenere sotto controllo una marea di personaggi. Una certa dispersività è il prezzo da pagare per un uso dei tempi narrativi che - quando funziona - riesce veramente a dare il senso della  tridimensionalità storica, delle ragioni e dei caratteri dei protagonisti. Vedere per credere l'inizio magistrale, dove l'arrivo del protagonista come schiavo di palazzo in due diversi momenti della sua vita (bambino e adulto) viene trattato come un'unica sequenza che contiene il flashback sull'infanzia come una specie di parentesi interna, parentesi che spiega tutto quello che c'è da sapere sul perché della sua furia sanguinaria nel presente, preparando la prima di molte belle scene di guerra.

Alla fine il "difetto" principale di Guerra e rivolta è che l'estetica digitale da piattaforma non riesce fino in fondo a rendere giustizia alla cura del suo comparto visivo. Duelli e battaglie abbondano, sono coreografati benissimo, e più di una volta si rimane sorpresi per l'eleganza della composizione (il drappello giapponese con gli elmi cornuti inquadrato controluce prima di un assalto). A parte un paio di brutti establishing shot digitali, quello che manca è un po' di grana nell'immagine, che renda più palpabili quelle ombre, ancora più fisici il mondo e l'azione che vi si svolge. Tanto da chiedersi cosa avrebbe potuto essere questo film se fosse uscito anche solo una ventina di anni fa. Poco male. Se si cerca epica, quest'anno difficilmente si troverà di meglio.

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