The Grudge
Il film con Sarah Michelle Gellar è sorprendente. Non è piaciuto (giustamente) né alla critica, né al pubblico che lo ha visto. Ma ha fatto un sacco di soldi al botteghino americano. Continuiamo così, facciamoci del male...
Beh, francamente dopo essermi annoiato a morte in pellicole come questa o The Ring, di fronte a questa etichetta mi viene voglia di mettere mano alla pistola.
Ma dove cavolo sarebbe questa atmosfera? Nel fatto che la protagonista chiede informazioni in giapponese in un’inutile scena di due minuti che sarebbe dovuta essere tagliata al montaggio? Nella arzigolata struttura a flashback, utile forse per convincere qualche dodicenne al suo terzo film visto della bontà del prodotto? Negli accenni (decisamente superficiali e frettolosi) alla credenza giapponese che una persona che muore mentre si trova in uno stato di forte rabbia (per i non anglofili, Grudge, appunto) lascia una maledizione dietro di sé?
Il fatto è che non ho proprio avuto l’impressione di assistere a qualcosa di particolarmente originale (sì, Michelle ha ragione quando sottolinea il fatto che per la prima volta un regista giapponese gira un remake di un suo film con attori americani, ma chi se ne...).
Ricapitoliamo. Porte che si aprono e si chiudono improvvisamente e che nascondono orrori spaventosi. Voci raccapriccianti e stridule (ma anche, talvolta, involontariamente ridicole). Primi piani di morti con il volto deformato in maniera sconvolgente. E soprattutto, fin da subito, dolby surround a palla per scuotere (svegliare?) lo spettatore dal suo stato di noia. Sì, d’accordo, non ci sono le tettone, ma una doccia perfettamente inutile non manca, così come sono numerose le vittime che si comportano in maniera idiota. Se poi qualche adolescente si è convinto che l’idea di rendere protagonisti dei bambini inquietanti (come avviene anche in The Ring) è geniale, sarà il caso di vedere qualche film in più.
Se poi dobbiamo parlare di scene d’atmosfera, è impossibile non notare come il regista Takashi Shimizu non sia assolutamente in grado di compiere un buon lavoro quando non può utilizzare i suoi effettacci (visivi o sonori che siano). Lo si capisce subito, fin dalla prima scontatissima scena, girata con una soggettiva banalissima.
Aggiungiamoci anche una Gellar decisamente poco convincente (forse perché troppo vittima rispetto ai suoi ruoli attivi del passato?) e le cui motivazioni sono assolutamente poco trasparenti (ad un certo punto, non vede l’ora di partire, poi per qualche motivo continua ad interessarsi della vicenda). Ma anche il resto del cast andrebbe bene per un telefilm senza troppe pretese, a meno che le difficoltà linguistiche (il regista non parlava inglese) non abbiano influito più di quanto sia stato detto.
C’è poi da sperare che la traduzione italiana sia molto libera, altrimenti un “benino” della protagonista è da antologia della comicità (involontaria, s’intende).
Riassumendo, dopo la visione di The Grudge, la spiegazione del successo sembra una sola. Basta far uscire un film horror a Halloween e farà un sacco di soldi, anche fosse di Al Festa...