Grosso guaio all'Esquilino, la recensione

Modellato vagamente sul canovaccio di Karate Kid, Grosso guaio all'Esquilino è un insieme di elementi diversi mai centrati che non funzionano

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Grosso guaio all'Esquilino, il film disponibile dal 6 aprile su Prime Video

Cosa vogliono essere gli YouNuts!? Il duo di registi con una decennale e invidiabile carriera nei video musicali da tre anni è arrivato ai film e si è dedicato a operazioni di genere in generi diversi, sempre all’acqua di rose. Hanno iniziato con un copione di Enrico Vanzina (Sotto il sole di Riccione, il loro film più compiuto anche grazie a quella scrittura), girando poi quell’operazione folle che è stata il remake di …altrimenti ci arrabbiamo!, e poi hanno diretto un film di tensione ma anche leggero, Con chi viaggi?, in cui Lillo è il personaggio da temere. Ora di nuovo con Lillo girano una specie di versione ancora più leggera di Karate Kid ambientata in quartiere multietnico di Roma. Sembra che in ogni cosa che facciano iniettino della leggerezza, che non è male in teoria, ma nella pratica siamo al quarto film sbagliato su quattro, il quarto film con una personalità presa in prestito da altro che non dice niente se non una vaga idea di quello che nelle teste di alcuni dovrebbe funzionare al cinema.

Grosso guaio all’Esquilino è scritto da Filippo Barbagallo, Simonetta Greco e Alessandro Logli, un progetto che (lo dicono i titoli di coda) esce dal Centro sperimentale, e che in effetti sembra la versione allungata di un corto di diploma, con l’aggravante di avere idee insufficienti anche solo per un corto compiuto, figuriamoci per un film intero! Sulla trama base di Karate Kid (ragazzo vessato da bulli + maestro di arti marziali + rivincita + scontro finale), Grosso guaio all’Esquilino inserisce un maestro di karate incapace, cialtrone e alla canna del gas (ma anche un altro più capace) che sarebbe la linea comica e dovrebbe quasi essere protagonista (Lillo), inserisce un villain che ben presto si dimostra altro, poi un’antica rivalità che arriva in extremis e infine alla storia sentimentale dei ragazzi affianca anche una degli adulti (con la mamma Carolina Crescentini) che fa rimpiangere gli schematismi di Sotto il sole di Riccione

Tutto è massacrato dal fatto che al film regolarmente mancano le caratteristiche dei molti generi che vorrebbe toccare. A partire dal cinema sportivo (che era quello che dava un senso a Karate Kid), per continuare con i film sulle seconde occasioni quando tocca al personaggio di Lillo (mai davvero compiuto) fino alla terrificante parte da teen movie (con dei ragazzi mai autentici), per non dire poi della tensione dell’incontro finale. Grosso guaio all’Esquilino è un film insufficiente in tutti i reparti, dai costumi fino alle scenografie, sempre posticci, a tratti tendenti al fumettoso ma mai davvero in grado di prendere una direzione decisa o mescolare suggestioni diverse per tirare fuori qualcosa di sensato. Più che un film è un insieme di elementi che affascinanti lo sono solo sulla carta ed esprimono un’idea di cinema vecchia di vent'anni senza avere quella partecipazione, quell’affetto e quella consapevolezza di ciò che si sta facendo per poter creare almeno un’operazione nostalgia. Persino il riferimento nel titolo a Grosso guaio a Chinatown non trova nessun riscontro!

Continua a leggere su BadTaste