The Grey - la recensione

Liam Neeson regala una splendida interpretazione in un film duro, teso e coinvolgente che sarebbe un errore catalogare semplicemente come “d’azione”...

Condividi

Prima uno schianto aereo, poi, una una tormenta di neve, la fame e, soprattutto, i lupi. Come dice il protagonista, i lupi “sono l’unico animale vendicativo al mondo”: in poche parole, se ne uccidi uno i suoi amici se lo segnano e ti vengono a cercare anche a chilometri e giorni di distanza, un po’ come farebbe il Liam Neeson di Io vi troverò e che qui da carnefice diventa obiettivo numero uno.

Riuscire a cavarsela nonostante tutto e tutti è il fil rouge di questa pellicola scritta e diretta da Joe Carnahan, già dietro firma di Smokin’ Aces e A-Team (sul cui set conobbe proprio Liam Neeson). The Grey non è un film d’azione, bensì un robusto dramma sul rapporto tra uomo e natura, già metafora di tante riflessioni letterarie e cinematografiche, ma non per questo non degna di un ulteriore rilettura, in questo caso ambientata in Alaska. La sopravvivenza al di sopra di tutto, “lottare, lottare, lottare”, come dice la poesia ripetuta due volte durante il film, pensare al momento che si dovrà ancora vivere come a qualcosa di migliore rispetto a quello passato e per questo impegnarsi affinché ciò possa accadere.

Sembra il solito pensierino new age, dovrebbe essere invece la base di qualsiasi film avventuroso che non voglia essere solo spettacolare. La struttura del film del resto è quella di un road movie dell’orrore. Si parte con un gruppo di personaggi che a poco a poco si assottiglia, la morte può arrivare da un momento all’altro, può nascondersi ovunque. La tensione è continua e le pause intorno al fuoco acceso ogni sera prima di andare a dormire danno tempo e modo a chi sarà ancora in vita di ragionare su se stesso, sulle proprie paure e su ciò che veramente conta quando da preservare non rimane altro che il battito del proprio cuore.

Carnahan si muove egregiamente tra neve, paesaggi boscosi e una luce che o è assente o è così luminosa da fare sembrare che tutto sullo schermo sia bianco. Il suo occhio indugia su ferite, cause della morte e violenza sottolineando continuamente la fragilità dell’uomo, il suo essere creatura quasi indifendibile in un ambiente inospitale che vede la sua presenza come minaccia semplicemente perché non è abituato a vederla affatto.

La secchezza del messaggio del film non arriverebbe al cuore se a veicolarla non fosse un attore come Liam Neeson, in grado di essere credibile sia come uomo d’azione che come maschera di una sofferenza intensa e coinvolgente per una vita che gli si sta sgretolando tra le mani.

Intervistato recentemente a Londra da badtaste.it Liam Neeson ha confidato che “The Grey” è uno dei film di cui va più fiero nella sua carriera. Quando ce lo ha detto non lo avevamo ancora visto e quell’affermazione ci è sembrata una forzatura: ora, invece, ne capiamo il significato. Per un attore a cui è morta la moglie, Natasha Richardson, in un incidente sciistico solo tre anni fa, confrontarsi con un’ambientazione del genere e con temi come l’aldillà, il vivere e il morire, non deve essere stato facile. Farlo senza risultare banali era per lui più di una semplice ambizione. E con The Grey ci è riuscito.

Continua a leggere su BadTaste