Gretel e Hansel, la recensione

Più che una rilettura della favola, Gretel e Hansel è il pretesto per fare un film complicato e pieno di idee moderne

Critico e giornalista cinematografico


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Gretel e Hansel, la recensione

Abbiamo visto diversi film in questi anni raccontare il momento in cui una donna si libera dai lacci della società (siano stereotipi, patriarcato o tradizione) per realizzare il proprio pieno potenziale ed essere quindi felice o di successo.

Gretel e Hansel per la prima volta in questo tipo di storia introduce della complessità vera, cioè il fatto che la realizzazione di una donna non debba passare necessariamente attraverso la marginalizzazione di un uomo né che debba per forza essere un processo positivo.

C’è ben poco da spoilerare nella storia di Hansel e Gretel, se non quello che il titolo di questo film già anticipa, cioè che è Gretel la protagonista, sorella maggiore (di tanto) che con Hansel vaga nel bosco dopo che la madre li ha cacciati di casa incapace di sfamarli. I due nel loro vagare incontrano creature mutate, simil-zombie e un cacciatore che li indirizza, mangiano funghi allucinogeni (come se in quei boschi non fossero inquietanti abbastanza) e finiscono affamatissimi in una casa, l’unica che hanno trovato, piena di roba da mangiare e gestita da una donna anziana e abbastanza spaventosa.

Questo non è Hansel & Gretel - Cacciatori di vampiri, non è una revisione action e spettacolare della fiaba ma un racconto che punta sulle atmosfere che guarda ai colori di Valhalla Rising e al nuovo horror folk di The Witch. È subito evidente che Oz Perkins ha visto e amato sia Alejandro Jodorowski che Sam Raimi che Nicolas Winding Refn. Gretel e Hansel è un’operazione serissima scritta e fotografata con un gusto non propriamente originale ma potentissimo. Oz Perkins bada maniacalmente ad ogni costruzione, alla forma di ogni dettaglio (il triangolo è quella che ricorre di più), lavora moltissimo di architettura e variazioni cromatiche (anche qui non proprio originali (blu per la notte arancio per il giorno, ma comunque funzionali e corrette), cura tantissimo il trucco e l’interpretazione (molto più interessante la strega Alice Krige della protagonista Sophia Lillis, che figurava meglio in IT), fa cioè in modo che tutto quello che non sia la scrittura (decisamente il comparto più semplice) parli la propria lingua e abbia qualcosa da dire.

Il risultato è un film d’atmosfere di buona soddisfazione e ad un certo punto anche seria paura. Non la paura dei jumpscare ma più quella di costumi, volti e ambienti che inquietano. Tutti dettagli che impediscono ad un film di essere prodotto a meno di non avere dietro di sè un titolo di richiamo. Ancora una volta l'horror è solo un mezzo per autori in cerca di possibilità di fare film e di dimostrare quel che hanno da dire.

Gretel nel periodo di permanenza con la strega inizia a capire molto di sé tramite incubi che forse non sono nemmeno tali. In questo modo il film sfuma i confini tra vero e immaginato e lavora su un senso di pericolo incombente, di spiritismo, occultismo e di minaccia molto forti. Nessuno lo dice ma lo capiamo sempre che questa scoperta di un potenziale non sta andando bene. Nonostante questo non sia propriamente un film commerciale e anzi lavori dalle parti del cinema americano da festival, un ottimo ritmo è impresso dall’evidenza di stare assistendo ad un’inevitabile discesa verso la morte.

Il film mette in chiaro subito che il mondo non è un bel posto per una donna, spiega bene come il mondo complotti contro di loro e le marginalizzi, offre alla sua protagonista una strada alle spese degli uomini e poi ci lascia con l’amaro in bocca perché forse non tutto ha funzionato come i protagonisti speravano.

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