Greenland, la recensione
Con molta più tensione del solito e tanta meno voglia di distruggere tutto, Greenland trova l'equilibrio giusto per il disastro naturale più classico
Nella grande corsa a sventare l’estinzione umana ad opera di una pioggia di meteoriti la salvezza sta in Groenlandia. Lo stesso luogo che (nel mondo reale, non in quello dei film) è il simbolo dei cambiamenti climatici, il suo danno più evidente, qui è l’Eden a cui puntare per una famiglia e non solo, durante la pioggia di sassi dallo spazio.
In questa storia in cui lo stato è una lastra di amianto di durezza e gelo, in cui i militari pensano solo agli ordini anche quando sanno che nel fare il loro lavoro stanno condannando le proprie famiglie, il cuore di tutto è la popolazione. Gli altri. Con un giusto mix di spietati bastardi pronti a tutto per salvarsi e invece persone più umane disposte ad aiutare la famiglia Butler (lui, lei e figlio), il mondo di Greenland anima di tensione il film, evitandogli la galera del cinema catastrofico, quella in cui inventiva e sceneggiatura sono tenute recluse dalla dittatura della grande distruzione.
Disaster movie senza eccessive pretese, Greenland riesce finalmente a dare al Butler-movie (cioè il film famigliare con il padre-eroe d’azione) una dimensione sensata, in cui il sentimentalismo inevitabile acquista un senso accoppiato ad una trama d’azione. Non sarà mai il film preferito di nessuno ma se non altro è ben congegnato e teso.
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