Green Zone - La recensione

Un militare in Iraq si trova a dover indagare su eventi e situazioni discutibili. La pellicola di Paul Greengrass con Matt Damon ha ottime intenzioni, ma è sostanzialmente inutile...

Condividi

Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Green Zone
RegiaPaul Greegrass Cast
Matt Damon, Greg Kinnear, Amy Ryan, Brendan Gleeson,Khalid Abdalla
uscita23 aprile 2010La scheda del film  

Curioso come nel giro di una settimana io abbia visto due pellicole che, nonostante siano assolutamente diverse tra loro, presentano lo stesso problema. In effetti, così come mi era capitato per Il cacciatore di ex, anche Green Zone sembra partire da un'idea produttiva sbagliata, ossia quella di mettere assieme una coppia che ha avuto successo, Paul Greengrass e Matt Damon, che con la serie di Bourne avevano ottenuto grandi consensi di pubblico e di critica, pensando che i risultati sarebbero stati gli stessi anche con un film sull'Iraq, che difficilmente poteva essere lanciato come un action movie su quella scia.

Così, investire 100 milioni di dollari su un prodotto che invece avrebbe dovuto essere realizzato a basso costo ha dato vita a quello che finora è il flop dell'anno, considerando i soli 33 milioni incassati in patria. D'altra parte, prendere un libro-reportage notevole come quello di Rajiv Chandrasekaran (ne avevo parlato qui) e sperare di farlo diventare materiale adatto per una pellicola d'azione sembrava un'idea discutibile.

In effetti, la soluzione è semplice: il film con il libro non ha praticamente niente a che fare. Dove il secondo cercava di descrivere le follie dell'amministrazione americana in Iraq, con pagine che diventavano quasi ironiche e surreali, il film è un semplice thriller d'azione con i soliti doppi giochi, le carogne pronte a tutto pur di ottenere i loro scopi e un soldato idealista che rischia la vita per un bene superiore (francamente, un'idea che è quasi un ossimoro, parlando di guerra in Iraq). In questo, la mano del miracolato Brian Helgeland si vede tutta, sempre in grado di rendere rozza e banale anche una vicenda straordinaria come questa.

Va detto che i soldi del budget, una volta accettato che sia una buona idea spenderli così (non lo è), sullo schermo si vedono tutti. E ovviamente, in tempi di kolossal (2 o 3D) che non hanno nulla da dire, fa piacere che un regista e un divo molto stimati si impegnino in prodotti del genere. Purtroppo, come spesso capita, le intenzioni non combaciano con i risultati effettivi.

E' strano, per esempio, che una pellicola del genere non riesca a raccontare degnamente il quadro di un Paese a pezzi e di una guida americana decisamente confusa. Soprattutto, nel 2010 fare due ore di pellicola per dirci che gli statunitensi si sono inventati le armi di distruzione di massa per poter attaccare l'Iraq è francamente pleonastico. A parte la madre di George W. Bush (e magari neanche lei), c'è qualcuno che ancora non lo sa?

Un'altra cosa che non funziona bene sono i personaggi. Del protagonista interpretato da Matt Damon abbiamo già accennato e francamente non è chiaro cosa lo spinga a rischiare così la vita in un panorama in cui tutti cercano soltanto di sopravvivere. In questo senso, è quasi peggio dell'artificiere di The Hurt Locker (che però era un ritratto molto umano e profondo). E se Brendan Gleeson qualche spunto interessante all'inizio lo offre, i personaggi di Amy Ryan (la giornalista) e Greg Kinnear (l'amministratore senza scrupoli) sono appena abbozzati e al limite dello stereotipo. Ma dove si crolla è con il traduttore arabo, che all'inizio fa di tutto per farsi ammazzare (da americani e iracheni) e alla fine diventa una sorta di entità quasi sovrannaturale, un deus ex machina ai limiti della realtà.

Insomma, tutto considerando, il dubbio non è perché questa pellicola sia andata malissimo in America. Il vero dilemma è come sia stato possibile realizzarla...

Continua a leggere su BadTaste