Greek Salad, la recensione
Terzo capitolo della saga iniziata con L’appartamento spagnolo, Greek Salad disperde in una palude verbosa ogni intento di critica sociale
La nostra recensione di Greek Salad, serie francese disponibile su Prime Video dal 14 aprile 2023
Un sequel anomalo
Greek Salad è il terzo capitolo (l’unico in forma seriale) di una saga giovanile iniziata da Cédric Klapisch nel 2003 con il celeberrimo L’appartamento spagnolo; nel film i protagonisti erano il padre di Tom e Mia, quello Xavier (Romain Duris) che trovava, nel sequel Bambole russe, l’amore della propria vita nella britannica Wendy (Kelly Reilly). Così come l’amore per Martine si rivelava effimero all’inizio di Bambole russe, così scopriamo che, quando Greek Salad prende l’avvio, il matrimonio tra Xavier e Wendy è finito ormai da quindici anni.
La scelta politica
La serie non nasconde neanche per un secondo la propria natura ("Se non ti occupi della politica, sarà la politica a occuparsi di te", viene detto durante il primo episodio); al creatore interessa sì dar vita a una commedia poliglotta costellata di equivoci e intrecci romantici, ma sotto la facciata c'è altro. Già la scelta di ambientare la vicenda di Tom e Mia, fratelli diversi quanto il giorno e la notte, in una Atene intenta a leccarsi le ferite del tracollo economico, è una precisa scelta politica.
Due ragazzi francesi, provenienti (sebbene Mia tenti di mascherarlo) da una famiglia alto borghese, si ritrovano a vagare per i quartieri più popolari di una Grecia ben lontana dall'immagine patinata di tante cartoline cinematografiche. Greek Salad non è Mamma Mia!, men che meno Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco. Il folklore è quasi assente, e la globalizzazione rende difficile identificare Atene come culla della civiltà occidentale, se non per qualche sparuto, quasi stonato scorcio dei ruderi del suo glorioso passato.
Tempi che cambiano
Tom e Mia non sanno di star ripercorrendo, seppur in un mondo totalmente cambiato, tappe affini a quelle attraversate dai propri genitori vent’anni prima; lo sanno, però, gli spettatori che hanno visto L’appartamento spagnolo e Bambole russe. In questo parallelismo meta sta l’elemento più interessante di Greek Salad, scintilla di discussioni che potrebbero andare avanti per ore.
Con i primi due capitoli (in particolare il primo) della sua storia della famiglia Rousseau, Klapisch aveva dipinto un vivace quadro della gioventù che incarnava il concetto di Europa Unita (L’appartamento spagnolo uscì all’indomani dell’esordio dell’euro come moneta unica). Con Greek Salad, il paesaggio politico che l’autore francese presenta al pubblico è ben diverso; i protagonisti si muovono, disorientati e confusi, verso un orizzonte che poco o nulla ha delle rutilanti speranze dei film precedenti. Mia e Tom sono figli di genitori divisi e, prima ancora, figli di un’Europa divisa dalla Brexit e dai tanti scontri che si riflettono nei volti dei rifugiati.
La trappola della verbosità
E allora? Cos’è che rovina questa insalata greca? Sebbene non numerosi, i difetti della serie riducono le buone intenzioni di Greek Salad a un pasticcio tedioso e ripetitivo. Dagli scontati intrecci amorosi all’immediato castello di menzogne costruito da Tom, in barba alla condanna delle bugie inanellate dalla sorella Mia, per arrivare a una ridondanza di situazioni e dialoghi che finiscono per essere via via sempre più uguali a sé stessi. A nulla valgono i tentativi di aggiungere profondità trattando temi gravosi; la banalità dilaga, disperdendo in modo irrimediabile l’attenzione dello spettatore.
Il risultato finale è un verboso ritratto giovanile che non convince e annoia, ammorbato da un didascalismo estenuante che potrebbe competere con quello di una tragedia di Eschilo. Sfortunatamente per Greek Salad, qui non c’è il genio drammatico a supportare spiegoni e violenze; tutto finisce diluito in una minestra insipida e buonista che i pochi sprazzi di brio non possono riscattare. Sarebbe forse bastato per una commediola di un'ora e mezza; è del tutto insostenibile se spalmato nelle quasi otto ore di una serie incapace di dare voce alle proprie nobili pretese di critica sociale.