Grazie ragazzi, la recensione
Il trionfo della pomposa retorica sul teatro e l'arte che cambia gli animi trova in Riccardo Milani un adattamento che limita i danni
La recensione di Grazie ragazzi, al cinema dal 12 gennaio
La sceneggiatura è abbastanza chiara, una favoletta ottimista che nasconde il peggio (senza negarlo, solo smussandolo) mentre mette sotto il riflettore il meglio, guardando tutto con gioia e serenità fino ai classici 5 minuti finali di dura verità e bagno di realismo. Ci sono gli ingredienti perfetti per la consueta ponderosa pomposità e la terribile solennità con cui viene messo in scena il teatro, il carcere e gli attori che interpretano degli attori che sono persone migliori proprio perché fanno gli attori. A discolpa di Riccardo Milani però bisogna ammettere che Grazie ragazzi fa di tutto per limitare questa componente, cerca come può di asciugare la pomposità della storia e fa un buon uso della commedia, puntando sulle seconde linee.
Certo, nel complesso Grazie ragazzi rimane un film sulla vita salvata dal teatro, con tutto il portato di meravigliose possibilità della cultura di migliorare gli esseri umani e tutto quello che di retorico si può dire sull’argomento (in un film peraltro! Sommando recitazione a recitazione), incluso il semplicistico sbocciare dell’eccezionale dentro persone fino a un momento prima impossibili da gestire, attraverso il semplice contatto con Beckett. E certo, la sceneggiatura è molto meccanica nel mettere i personaggi a contatto con difficoltà e problemi nel loro percorso di ascesa. Tuttavia Milani fa forse uno dei lavori migliori possibili con questa materia vischiosa (considerata la vocazione commerciale del film), puntando come suo solito anche su volti e corpi non ordinari, che non vengono dalla recitazione classica e trovando in essi piccole sorprese e nel suo mestiere un buon ritmo.