Grazie ragazzi, la recensione

Il trionfo della pomposa retorica sul teatro e l'arte che cambia gli animi trova in Riccardo Milani un adattamento che limita i danni

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Grazie ragazzi, al cinema dal 12 gennaio

La filosofia politica si interroga da più di un secolo sul peso che ha la società nel determinare i destini individuali, se cioè le persone siano tutte uguali alla nascita e il contesto di provenienza e la posizione in cui li mette la società creino le differenze, o se le differenze siano innate e la loro posizione nella società (a lungo andare) ne sia conseguenza. Non ha dubbi Grazie ragazzi, remake del francese Un Triomphe (già dal cambio di titolo abbastanza enfatico), in cui un gruppo di carcerati coinvolti in un programma teatrale scopre delle doti che non pensava di possedere e dà origine a una tournée in cui porta in scena Aspettando Godot. Tutto tratto da una storia vera per la gioia di un pubblico di professoresse delle medie e docenti di lettere al liceo.

La sceneggiatura è abbastanza chiara, una favoletta ottimista che nasconde il peggio (senza negarlo, solo smussandolo) mentre mette sotto il riflettore il meglio, guardando tutto con gioia e serenità fino ai classici 5 minuti finali di dura verità e bagno di realismo. Ci sono gli ingredienti perfetti per la consueta ponderosa pomposità e la terribile solennità con cui viene messo in scena il teatro, il carcere e gli attori che interpretano degli attori che sono persone migliori proprio perché fanno gli attori. A discolpa di Riccardo Milani però bisogna ammettere che Grazie ragazzi fa di tutto per limitare questa componente, cerca come può di asciugare la pomposità della storia e fa un buon uso della commedia, puntando sulle seconde linee.

Più che Antonio Albanese, protagonista della storia scelto con grande aderenza a Kad Merad (protagonista dell’originale) e perfetto grazie alle note di mestizia che da sempre possiede, a creare il film dal basso sono Sonia Bergamasco (gran caratterista nella parte della “donna inflessibile rappresentante delle istituzioni”) e Fabrizio Bentivoglio gigionissimo con gran gusto, inventiva e ironia nel creare un personaggio autonomo e dinamico. Tutto quello che di retorico è messo in ballo dalla storia dei carcerati viene messo a regime e regolato da loro, tutto quello che di pesante (e recitato non ottimamente con l'esclusione di Giorgio Montanini, sempre più una maschera eccezionale) vediamo quando seguiamo le loro storie è poi stemperato dai toni che portano questi due attori.

Certo, nel complesso Grazie ragazzi rimane un film sulla vita salvata dal teatro, con tutto il portato di meravigliose possibilità della cultura di migliorare gli esseri umani e tutto quello che di retorico si può dire sull’argomento (in un film peraltro! Sommando recitazione a recitazione), incluso il semplicistico sbocciare dell’eccezionale dentro persone fino a un momento prima impossibili da gestire, attraverso il semplice contatto con Beckett. E certo, la sceneggiatura è molto meccanica nel mettere i personaggi a contatto con difficoltà e problemi nel loro percorso di ascesa. Tuttavia Milani fa forse uno dei lavori migliori possibili con questa materia vischiosa (considerata la vocazione commerciale del film), puntando come suo solito anche su volti e corpi non ordinari, che non vengono dalla recitazione classica e trovando in essi piccole sorprese e nel suo mestiere un buon ritmo.

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