Gravity Rush 2, più grande, più grosso, meno divertente - Recensione
Japan Studio riporta in scena l’affascinante Kat: la recensione di Gravity Rush 2
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
La sensazione, difatti, è proprio questa, che non ci fosse alcun bisogno di un episodio della serie sull’ammiraglia targata Sony, che lo sviluppo in formato casalingo abbia costretto gli sviluppatori su binari che, per forza di cose, hanno finito per snaturare, diluendole e sfibrandole, le basi concettuali, i cardini filosofici che resero tanto speciale il capostipite.
Gravity Rush, in fin dei conti, era un gioco altamente sensuale, quasi erotico. Non ci riferiamo naturalmente alle forme sinuose di Kat, senza citare l’ancor più sexy Raven, per quanto gli stessi personaggi, comprimari e villain, non lesinassero sulle allusioni all’abito dell’eroina che ben poco lasciava all’immaginazione. Volare, anzi precipitare, per i cieli di Hekseville, in un turbinio di immagini e suoni avvolgenti e ammalianti, coinvolgeva ogni senso. Un vero e proprio shock estetizzante, difficilmente descrivibile, acutizzato dalla vicinanza dello schermo al viso, dalle cuffie ben incollate alle orecchie, dall’oscurità attorno al display del portatile che rendeva ancor più accecante quella meravigliosa finestra su un mondo alieno, ma per nulla straniante, eccentrico, ma comunque familiare.
Difficile restituire a parole il mix di sensazioni ed emozioni regalate da quella piccola perla che, per funzionare, doveva appunto difendere e persino ostentare le sue dimensioni contenute.
Una prima prova, del relativo ed eventuale fallimento di Gravity Rush 2 s’intende, l’avevamo avuta con la Remastered del capostipite. Un gioco che pur perdendo la non secondaria caratteristica del volo a pochi centimetri dal proprio corpo, costringendo l’azione in uno schermo certamente di dimensioni maggiori ma comunque “distante”, conservava quasi intatto il suo fascino grazie ad un level design sincopato, ma perfetto per veicolare, con il giusto dosaggio, combattimenti frenetici ed appassionanti fasi esplorative. C’era un sottile equilibrio, insomma, garantito da una perfetta gestione delle meccaniche ludiche, oleate e rodate per esprimere un concept di per sé limitato.
Questo sequel, come dicevamo, si macchia di una peccato imperdonabile, nel tentativo di reggere il confronto, in termini contenutistici, con gli altri open world che si affacciano a cadenza regolare sul mercato. La nuova ambientazione, senza mezzi termini, è sconfinata e Kat potrà visitare (quasi) ogni location sin da subito, senza nemmeno doversi preoccupare del consumo della barra che gli permette di modificare la gravità soggettiva, vista la velocità con cui si ricarica automaticamente. Si tratta del primo vizio capitale, certamente necessario per rendere più commestibile il gameplay anche ai neofiti, ma che azzera buona parte del senso di progressione che si respirava, al contrario, nel capitolo precedente.
[caption id="attachment_166857" align="aligncenter" width="600"] Le ambientazioni evocative, nonostante un art design evidentemente meno ispirato, si sprecano. Stiamo pur sempre parlando di un prodotto assolutamente eccellente sotto questo punto di vista.[/caption]
Una mappa di tali dimensioni, inoltre, ha costretto gli artisti a lavorare molto meno sul dettaglio. Il risultato è che la nuova città non regge in nessun ambito il confronto con l’ispiratissima Hekseville. Laddove le influenze sudamericane hanno incoraggiato l’utilizzo di una fotografia dai colori più accesi, la sensazione è quella di una metropoli meno viva, caratterizzata, affascinante rispetto ai vari quartieri di stampo chiaramente europeo di cui ci eravamo follemente innamorati nel prequel. L’art design è pressoché derivativo, se non deludente quando cerca di proporre qualcosa di inedito. Inspiegabilmente, anche la colonna sonora ha subito un impoverimento. Ciò lo si nota soprattutto in un arrangiamento meno raffinato e ricercato di quanto preventivato.
Ciò che è peggio, il gameplay annega in una sequela di missioni ridondanti, ripetitive, reiterate oltre il consentito. Non poteva che essere così, del resto, quando si costringe un gameplay di per sé limitato a dilatarsi sino al raggiungimento di una longevità considerata standard per un open world sviluppato su una console casalinga.
Ci si annoia durante il prolisso e prolungatissimo tutorial che introduce all’avventura vera e propria. Si sospira irritati dopo l’ennesima missione di ricerca in cui bisogna muoversi un po’ a caso, in lungo e in largo per una vasta porzione di mappa, senza nemmeno aver ben presente cosa individuare.
Non che non fossero tutti problemi già ben presenti nel capostipite, ma Gravity Rush 2, proprio per le sue maggiori dimensioni, estremizza la ripetitività di fondo di un gameplay che mostra tutti i suoi limiti ben prima dei titoli di coda.
La delusione è tanta, la sensazione di occasione sprecata è tangibile, ma non è ovviamente tutto da buttare. Tutt’altro, visto che alla fine dei conti, avrete a che fare con un prodotto comunque valido, capace di divertire nonostante diversi passaggi a vuoto.
I due nuovi stili combattimento, tanto per cominciare, riescono ad eliminare la ripetitività dei combattimenti, difetto piuttosto impattante nell’economia del capitolo originale. Alternando il Lunar Style con il Jupiter Style, non solo si amplia a dismisura il parco mosse, ma si dà vita a scontri spettacolari, in cui non conta solo la prontezza di riflessi, ma anche la preparazione strategica. La rinnovata potenza del Lancio Gravitazionale, che permette di usare gli oggetti dello scenario come proiettili, i numerosi Talismani che potrete equipaggiare, e che donano a Kat i bonus passivi più disparati, approfondiscono nella giusta direzione il combat system.
La raccolta delle gemme gravitazionali, dal canto suo, imprescindibili per potenziare le abilità dell’eroina, vero e proprio gioco nel gioco, ha ovviamente goduto dell’accrescimento della mappa. Ancora una volta, piuttosto che dedicarvi alle tante missioni secondarie sparse per la città, vi perderete nell’esplorazione di ogni anfratto, attirati da una scia di collezionabili che sembra non conoscere mai fine, che vi stimolerà a svolazzare in tutte le direzioni.
[caption id="attachment_166856" align="aligncenter" width="600"] Tra i pochi ambiti a godere di questa espansione c’è sicuramente quello narrativo. Vengono riprese le questioni lasciate in sospeso e ne vengono introdotte di nuove con i giusti tempi. Il tutto, fortunatamente, è sorretto da una buona sceneggiatura.[/caption]
Gravity Rush 2 è un titolo certamente controverso, difficile da analizzare quanto più si è apprezzato il predecessore. Sulla carta non è cambiato nulla, eppure il delicato equilibrio su cui si basava il gameplay è stato manomesso, sabotato dalla più classica delle rincorse al “better and bigger”. Ne viene fuori un’avventura in cui bisogna spesso e volentieri soprassedere su diverse scelte di design, invischiati in un manipolo di missioni noiose e inutilmente prolungate oltre il necessario. Il buono c’è, eccome, ma bisogna scoprirlo dopo aver grattato via il superfluo, lo spesso strato in eccesso, eretto sopra il concept del gioco unicamente con lo scopo di aumentarne la massa.
I fan, nonostante tutto, lo adoreranno, pur con qualche rammarico ricordandosi dell’eccellenza del prequel. I neofiti faticheranno maggiormente ad armonizzare con il gameplay, ma anche loro finiranno per lasciarsi ammaliare dal senso di libertà e dallo splendore di un art design certamente meno riuscito rispetto al passato, ma in ogni caso superiore alla media.