Il grande giorno, la recensione
Non ci sono solo Aldo, Giovanni e Giacomo nella trama di Il grande giorno, per la prima volta loro sono solo una porta sul altre storie
La recensione di Il grande giorno, nelle sale dal 22 dicembre
Questo ampliamento del respiro del film non suona fuori posto perché tutto Il grande giorno è concepito con molta più ambizione. C’è sempreMassimo Venier alla regia (oltre che al supporto in sceneggiatura), il team è quello, ma è evidente un desiderio di alzare il tasso tecnico e lavorare con più proprietà di linguaggio filmico. C’è addirittura un momento, in una cena con diversi invitati e diverse trame portate avanti contemporaneamente, strutturato e pensato come nei film di Gabriele Muccino, cioè con un brano musicale che accompagna e unisce il montaggio delle diverse situazioni fatto per continui piccoli bocconi.
Se in televisione sono sempre stati più diretti e surreali (gli unici a fare umorismo slapstick nella tv italiana), al cinema hanno sempre affrontato il solito contrasto tra diversi (Nord e Sud) tenendolo sullo sfondo e raramente in primo piano. Non ci si concentrano mai direttamente e raramente ci costruiscono sopra delle gag ma è sempre lì, a rimarcare le differenze tra loro. Umorismo degli opposti che è fondato sull’amicizia. Stavolta però i veri opposti sono i più simili (Giovanni e Giacomo), mentre quello apparentemente diverso (Aldo, il portatore di caos) è il collante, come in Chiedimi se sono felice. Questa dinamica però qui diventa una porta che consente di entrare in tutte le altre opposizioni e diversità intorno a loro (i due sposi, il prete e le amiche della sposa, le mogli…).