Gran Torino

Un anziano razzista si ritrova per caso a difendere una famiglia asiatica dai teppisti. Rozzo, volgare, sgradevole e anche intelligente: grande cinema di Clint Eastwood, non per palati fini...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloGran TorinoRegiaClint Eastwood
CastClint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley, Brian Haley, Geraldine Hughes
Uscita27 febbraio 2008La scheda del film

Chiaramente, al mondo ci sono due tipi di cinema. Uno è quello pulitino, asettico e preciso di tante pellicole contemporanee, che mirano soltanto a non avere difetti plateali e a fornire allo spettatore un paio d'ore di lezioncine leziose, magari formalmente impeccabili, ma poco coinvolgenti. C'è poi chi decide ancora, magari a 78 anni, di mettersi in gioco e di rischiare, creando prodotti squilibrati ma energici, dotati di un'anima e di una visione personale della vita che va portata avanti a tutti i costi, senza preoccuparsi dei critici à la page.

Evidentemente, Gran Torino (nome che deriva da un modello di automobile) fa parte di questa seconda schiera di pellicole e non ha certo paura di affermarlo chiaro e tondo. Fin dal funerale iniziale, vediamo i protagonisti 'bianchi' della famiglia del protagonista, un misto di volgarità e superficialità. Bastano dieci minuti e il nostro Walt Kowalski/Clint Eastwood ha già distrutto tutti, creando un vero personaggio americano, pronto a imbracciare nuovamente il fucile per difendere la sua proprietà (concetto ripetuto spesso) e che ritiene che il lavoro manuale sia formativo.

Qui abbiamo un eroe secco e che ha paura di essere considerato una brava persona (o meglio, forse si ricorda di quello che ha fatto in guerra). Siamo sulla strada antiretorica degli Spietati, ma in questo caso forse è anche più coraggiosa. Si lascia da parte uno scenario mitico per spostarci in un quartiere come tanti altri, ma si arriva a vette, se possibile, anche più estreme e sincere. Magari, il film non funziona perfettamente nei (pochi) momenti violenti, girati talvolta non benissimo. Invece, quando ci si sposta sul registro comico, le risate sono assicurate. Basti pensare ai regali del figlio a Kowalski, il dialogo dal barbiere col ragazzo asiatico o la famiglia che praticamente imbocca il protagonista. E anche se si può dire a tratti che il prete risulta una macchietta, come spalla comica è fantastica. Sul tema del razzismo, invece, si crea un personaggio interessante. Ovviamente Kowalski lo è, ma basta vedere come massacra il rapper bianco per capire che non è questione di pelle, ma più che altro di palle. Alla fine, il protagonista avrà tanti pregiudizi, ma è in grado di valutare le persone per quello che sono e che fanno, non certo per il loro DNA.

Nella prova di Clint Eastwood, torniamo al concetto espresso all'inizio. Il punto di riferimento sembra essere John Wayne, un'interpretazione statuaria e fisica, più che sottile e sfumata. Kowalski sputa in continuazione e invece di parlare chiaramente, spesso grugnisce, ma se qualcuno vuole partire con le critiche, si ricordi che Harry la carogna non veniva giudicato all'epoca molto diversamente.  Insomma, se ne facciamo un discorso di Actor's Studio, il confronto con il Frank Langella di Frost/Nixon o lo Sean Penn di Milk è improponibile. Ma se spostiamo il discorso sulla capacità di emozionare il pubblico e creare un personaggio sincero, insomma all'efficacia sullo schermo, ecco che Eastwood può tranquillamente essere accostato agli attori nominati e spero che l'Academy lo faccia veramente.

Non mi dispiacerebbe, peraltro, che qualcuno si ricordasse (anche se so che non succederà) di Ahney Her, la magnifica coprotagonista della pellicola, quella che sostanzialmente mette in moto tutti gli eventi. Magari, la sua interpretazione non sarà appariscente come tante altre, ma l'idea di iniziare la propria carriera recitando con un mostro sacro del calibro di Eastwood non deve essere semplice e il fatto di non mostrare sullo schermo nessun segno di inquietudine è notevole. Discorso simile può essere fatto per Bee Vang, ma in generale Eastwood come suo solito sceglie un cast notevole, con dei volti perfetti e tanti bravi interpreti, tra cui John Carroll Lynch (caratterista che abbiamo visto in tante pellicole, tra cui Zodiac) nel ruolo del barbiere o Geraldine Hughes (la nuova fiamma del protagonista in Rocky Balboa), che qui è la moglie del figlio di Kowalski.

E se tutto questo non vi bastasse, è il caso di ricordare che Gran Torino ha anche un gran finale, che sorprende per la sua intelligenza e maturità. Poi certo, se volete vedere cose leccate e introverse, adatte a disquisire di cinema con intellettuali raffinati, attualmente in sala c'è La duchessa. O magari potete recuperare i film di James Ivory in dvd...

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