Governance, la recensione

Governance cerca il respiro di un thriller finanziario e politico non riuscendo però a trovare il giusto equilibrio

Condividi
Governance, la recensione

Diretto da Michael Zampino e scritto da Michael Zampino, Heidrun Schleef e Giampaolo Rugo, Governance cerca il respiro di un thriller finanziario e politico, tra corruzione e smanie di potere, non riuscendo però a trovare il giusto equilibrio tra l’implicazione pratica del coinvolgimento nel crimine e la variabile umana, l’aspetto più puramente emotivo che giustifichi le scelte dei personaggi, il loro comportamento, la loro visione del mondo. Governance usa infatti tutte le sue energie per raccontare gli accordi, le contrattazioni e gli sgambetti che accadono tra le pareti degli uffici, ma in questo modo perde lungo la strada l’attenzione e l’approfondimento necessari per riuscire a comunicare qualcosa che vada oltre il fatto stesso: qualcosa che, semplicemente, ci riveli un punto di vista.

Il protagonista è Renzo Petrucci (Massimo Popolizio), dirigente di un’importante gruppo petrolifero con sede a Roma. Renzo ha le mani in pasta in diversi accordi più o meno legali e dopo un’inchiesta per corruzione l’azienda lo manda in pensionamento precoce per prevenire scandali. Renzo però, abituato a vincere, non accetta questo destino e cercare di tirare giù nel baratro assieme a lui la manager che viene incaricata di sostituirlo e che crede abbia complottato contro di lui, Viviane Parisi (Sarah Denys), coinvolgendo inoltre il suo amico e meccanico Michele (Vinicio Marchioni) nei suoi piani.

La cosa frustrante è che Governance riesce anche piuttosto bene a raccontare il lato burocratico. Più spesso infatti, quando si tratta di raccontare intrighi di potere, si assiste o a una complicata esagerazione o ad un’eccessiva semplificazione. Qui invece si evita la macchietta e ci si focalizza sul realismo, con l’impressione che tutto ciò che accade sia piuttosto fedele a come vanno le cose quotidianamente, tra dialoghi credibili e un’attenzione al dettaglio “d’ufficio” ammirevole. D’altra parte però il film è talmente preso da questo lato che non si preoccupa mai di dare allo spettatore gli strumenti per dare valore a quello che vede. Perché il protagonista agisce in un certo modo? Che valore ha il suo cambiamento? 

In questo senso, l’ostacolo più grande è proprio il personaggio protagonista, la cui parabola criminale sembra motivata soltanto da una generica smania di potere, ma che non trova riscontro o maggiore spiegazione nella sua vita privata, dipinta come un generico disagio (è divorziato dalla moglie, ha una figlia con problemi di salute che non lo sopporta). Renzo è forse, in fondo, un uomo buono? Oppure è, e sarà sempre, semplicemente avido? Il punto non è chiaro, e non c’è nessun elemento di fascinazione che faccia andare lo spettatore oltre la superficie, oltre il personaggio bidimensionale che, purtroppo, nemmeno l’interpretazione di Massimo Popolizio ha saputo arricchire in qualche modo.

La regia di Michael Zampino non si afferma in nessun modo, e senza infamia e senza lode si limita a mostrare, in modo anonimo, quello che succede. Se solo magari avesse avuto un po’ più di coraggio e avesse assunto su di sé quella responsabilità sulla storia che la sceneggiatura ha evitato, il film avrebbe acquisito uno spessore diverso.

Cosa ne dite della nostra recensione di Governance? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

Vi ricordiamo che BadTaste è anche su Twitch!

Continua a leggere su BadTaste