Good Omens (seconda stagione), la recensione

La nuova stagione di Good Omens impara dai propri errori e si focalizza sul proprio punto di forza: la relazione tra Crowley e Aziraphale

Condividi
Spoiler Alert

La nostra recensione della seconda stagione di Good Omens, disponibile su Prime Video

Squillino le trombe celesti, sparino i cannoni infernali: dopo un'attesa di quattro anni, Good Omens è tornata sul piccolo schermo per una seconda stagione che sembra aver imparato molto bene dagli errori del passato. I fan del primo arco di episodi non hanno di che temere, poiché i toni brillanti e tenui sono rimasti intatti. Su questi nuovi sei episodi, tuttavia, regna la legge del less is more; orfano, stavolta, di un proprio (in parte) romanzo d'origine a cui ispirarsi, Neil Gaiman opera un labor limae mirabile, epurando la storia di ogni fronda superflua che possa distogliere dal focus principale.

Di che focus si parli, non andrebbe forse nemmeno precisato: sin dal proprio esordio nel 2019, Good Omens ha reso chiaro al pubblico come la sua forza risiedesse nella stupefacente chimica tra i suoi due protagonisti, l'angelo Aziraphale (Michael Sheen) e il demone Crowley (David Tennant). Uniti dall'alba dei tempi a formare una coppia tanto bislacca quanto perfettamente bilanciata, i due hanno attraversato i secoli fino a dover dirimere, nella prima stagione della serie, una questione non da poco come la venuta dell'Anticristo. Cosa potrà mai esserci di peggio?

Vecchie conoscenze

A dare il via all'effetto domino che attraversa le nuove puntate è la comparsa, in vesti inedite (o, per meglio dire, in assenza di esse) di Gabriele (Jon Hamm). L'arcangelo vaga in tenuta adamitica per le vie di Londra, fino ad arrivare dinanzi alla libreria di Mr. Fell, alias Aziraphale. Perché sia lì e cosa dovranno fare i nostri due eroi per venire a capo di questo mistero, è il motore apparente di questa seconda stagione. Apparente, già, perché Gaiman è estremamente onesto nel ridurre all'osso ogni possibile distrazione che ci porti lontano dal cuore del racconto: la relazione tra Aziraphale e Crowley.

Un legame che già aveva allietato la serie nella sua prima tranche di puntate, certo dotata di una trama più complessa e ricca di personaggi secondari rispetto all'essenzialità di questo secondo capitolo. Un male? Non necessariamente. Osservando questi sei episodi, si ha anzi una sensazione di rinnovata coesione, come se ogni comprimario contribuisse, col proprio tassello, a comporre un mosaico che riconduce al medesimo tema. Una scelta radicale, che privilegia i rapporti interpersonali, scaldando il racconto in modo inedito.

In primo piano

Se, nel 2019, i battibecchi di Crowley e Aziraphale erano - almeno sulla carta - un divertissement di accompagnamento, Good Omens 2 chiarifica sin da subito come la storia, qui, sia subordinata al legame tra i nostri eroi. C'è, certamente, una missione coinvolgente e ben articolata da seguire; capire cosa sia successo a Gabriele e, al contempo, celare la sua presenza sulla Terra alle forze angeliche e demoniache che, per motivi diversi, lo stanno cercando. Un'ennesima occasione di collaborazione per i due bizzarri amici, che si trovano a dover coprire il proprio operato con un diversivo dai toni rosati.

Per gettar fumo negli occhi di angeli e diavoli accorsi alla ricerca di Gabriele, il duo s'imbarca in una classica impresa da rom-com, decidendo di far innamorare due negozianti che, guarda un po', riecheggiano - seppur in modo non pedissequo - i caratteri dei protagonisti. Si potrebbero alzare gli occhi al cielo, ma Good Omens 2 ha l'intelligenza di elaborare questo piano secondo vie che giocano col cliché invece di seguirlo alla lettera, riflettendo peraltro su qualche errore della passata stagione. Non c'è approssimazione nel seguire le due possibili innamorate Maggie (Maggie Service) e Nina (Nina Sosanya); l'amore non si costruisce (né si distrugge) a tavolino, come Crowley e Aziraphale impareranno a proprie spese.

Un coro armonico

Tralasciando per un attimo il duo di protagonisti, la gemma di questa stagione è senza dubbio il Gabriele di Hamm, che assume un ruolo più ampio, colorato di sincera vulnerabilità. Mentre si sforza di guadagnarsi la protezione di Aziraphale, intravediamo i suoi dissidi nei confronti dei piani celesti, il che aggiunge un palpabile velo di pericolo sulla ridente libreria che è divenuta il suo rifugio. Hamm rifulge di luce propria nello spogliare Gabriele dell'arroganza che l'ha caratterizzato nella prima stagione; ci mostra un volto nuovo, eppure perfettamente credibile, un'evoluzione gradevole e appassionante di una figura che rischiava di restar confinata al ruolo di pseudo-villain.

Belzebù cambia volto (stavolta è Shelley Conn a interpretarla) e mostra di avere un'agenda abbastanza imprevedibile, a vantaggio del ritmo e dei colpi di scena del finale. Miranda Richardson torna nei nuovi panni del demone Shax, mettendo in campo una verve comica che non incrina la sua pericolosità. Sosanya e Service, smessi gli abiti clericali indossati nei passati episodi, tornano come detto in ruoli di primaria importanza, soprattutto per il gioco di specchi finalizzato a far comprendere ai due protagonisti la natura del loro reciproco sentimento. Va detto che, a stagione conclusa, non abbiamo elementi sufficienti per decretare se la coppia formata da Nina e Maggie abbia speranza di nascere, una volta liberata dall'intrusione di poteri mistici. Ma c'interessa davvero? Come già detto, il focus è altrove.

Una porta socchiusa

Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare, Good Omens 2 è ben lungi dal dare piena soddisfazione al pubblico che ha tenuto appeso per quattro anni. È una scelta consapevole e rischiosa: la stagione si conclude in modo ben più aperto rispetto alla prima, con lo spettatore aggrappato alla speranza che la straziante rottura tra Crowley e Aziraphale si risani in un terzo arco di episodi più che mai necessario. L'equilibrio è spezzato, yin e yang sono divisi, l'ago della bilancia non è più centrato; il Metatron (Derek Jacobi), novello serpente, tenta Aziraphale con le lusinghe del suo regno di luce. Un regno a cui Crowley ha scelto di non tornare, restando coraggiosamente senza padroni, forte della scoperta di un sentimento troppo a lungo taciuto e che, lo vediamo nell'amara conclusione, lo farà soffrire.

Questa non è, sia chiaro, una mera stagione di passaggio; la crescita sentimentale dei protagonisti è gigantesca, e la portata drammatica che essa porta con sé raggiunge territori finora rimasti inesplorati. Plauso a Gaiman e al co-autore John Finnemore per aver spazzato via ogni scetticismo in merito alla virata romantica del rapport tra Crowley e Aziraphale; lungi dall'avere un sapore liberatorio, quel bacio tanto anelato da una certa fetta di pubblico deflagra con dilaniante potenza tragica, ergendosi a monito del più grande errore che l'angelo potesse commettere. L'ambizione, ci suggerisce Good Omens 2, sarà anche un vizio diabolico, ma è nata tra le luci del Paradiso. E non c'è peccato più grande che rinunciare, in nome di essa, a un amore che, appena rivelato, già profuma di eternità.

Continua a leggere su BadTaste