Gonzo Girl, la recensione

La nostra recensione di Gonzo Girl, l'esordio alla regia di Patricia Arquette presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023

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La nostra recensione di Gonzo Girl, l'esordio alla regia di Patricia Arquette presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023

"È l'inizio de Il Grande Gatsby" esclama Aley (Camilla Morrone) quando il noto scrittore Walker Reade (Willem Defoe) le declama delle splendide parole. Lei è una giovane ragazza che accetta di lavorare come assistente dell'uomo, autore ormai in declino che, chiuso nella propria magione, si dedica a droga, alcool e belle ragazze, come il capo di una setta. Così Gonzo Girl dichiara esplicitamente i suoi riferimenti, da cui non riesce però a smarcarsi, in quanto il suo discorso non è sufficiente a supportare l'intera opera.

L'esordio dietro la macchina da presa di Patricia Arquette è ispirato al romanzo in cui Cherly Della Pietra racconta la sua esperienza agli inizi degli anni '90 con Hunter S. Thompson, di cui molto ritorna nel personaggio di Reade. Il suo discorso di base è offrire una prospettiva nuova di un contesto più volte rappresentato, incarnato da una protagonista che è inizialmente disgustata da quello che vede, ma piano piano comincerà a subire il fascino dello scrittore senza però diventarne succube. Accetta di vivere secondo le sue regole con l'obiettivo di portare a termine il compito per cui è stata assunta: fargli completare in beve tempo un nuovo romanzo. Aley porta dunque con sé un'istanza di rivendicazione (del suo punto di vista non maschile, del suo ruolo salvifico per Reade) esplicitato nel finale che la vede diventare scrittrice autonoma, traendo spunto da quello che ha vissuto. In un microcosmo in cui le ragazze sembrano meri "oggetti" (come vengono chiamate dalla stesse Aley), quest'ultima invece risulterà assolutamente attiva. Aspetti che vent'anni dopo l'ambientazione delle vicende risultano quanto più attuali, inserite in un'operazione però complessivamente non soddisfacente.

Il problema di Gonzo Girl è infatti la sua poca originalità nel viaggio che porta alla conclusione delle vicende. Il film mostra tutti i lati negativi di questo mondo di eccessi, rimanendone allo stesso tempo, come la sua protagonista, tremendamente affascinato e adottando di conseguenza uno stile a lui conforme. Come se fosse una novità proporre un "cinema sotto acido", delirante come i suoi protagonisti, inserti d'animazione compresi. O un Willem Dafoe esuberante e mattatore, nei panni di un'artista autodistruttivo. Arquette poi non mette in mostra nessuna peculiarità a livello di regia né nel tratteggio di personaggi: le ragazze alla corte di Reade sono figure appena abbozzate e anche il suo, la segreteria dello scrittore, rimane molto sullo sfondo, pur essendo potenzialmente interessante. Così, tra deliri ed overdose, corpi e menti in estasi, il film non si accorge di essere sostanzialmente vuoto come il contesto che rappresenta.

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