Se nel convincente
esordio della scorsa settimana
Gomorra – La serie sembrava trovare qualche ideale punto in comune con
I Soprano, i riferimenti del terzo e quarto episodio non sono certamente meno nobili. Dopo il climax del secondo episodio, che aveva portato Don
Pietro Savastano a Poggioreale, assistiamo quindi alle dinamiche di gruppo e ai risvolti della criminalità organizzata in un microcosmo particolare come quello carcerario. E c'è qualcosa di
OZ nelle faide tra i rappresentanti dei gruppi esterni nella struttura, nel rapporto tra repressione e provocazione, perfino nei tumulti con tanto di ostaggi e incendio nella zona celle: esattamente con un evento del genere si concludeva la prima stagione dello show di Tom Fontana. Ma i riferimenti e i confronti non devono in ogni caso far passare in secondo piano il valore di una narrazione che anche in questo terzo e quarto appuntamento si conferma curata e dalle aspirazioni alte, nonostante un intreccio non sempre all'altezza.
Come prevedibile il nome di Savastano impone un certo rispetto all'interno delle mura carcerarie, ma anche all'esterno di queste, con la moglie dell'uomo che verrà fatta passare di fronte alle altre persone in attesa dei colloqui. I sussulti in questo particolare segmento della storia non sono tanto nell'originalità delle situazioni, che grossomodo si limitano a ricalcare una serie di snodi e di personalità già viste, quanto in qualcos'altro. C'è il giovane nel quale forse Pietro in parte si rivede da giovane, ci sono i deferenti compagni di cella, c'è il comandante tutto d'un pezzo. Già visto, già sentito: allora la maggiore forza della storia non risiede nel "cosa" ma nel "come" questa viene raccontata e veicolata. E non sono poche le scene d'impatto e le sequenze da ricordare. Una su tutte: Stefano Sollima dimostra ancora una volta di aver appreso la lezione americana, e fonde con un montaggio stridente – e proprio per questo efficace – un tentativo di suicidio con l'esecuzione di una serenata neomelodica, con la sola musica di sottofondo a fare da collante. Romanzo Criminale era carico di questi bei momenti.
Ma non solo. C'è anche una sequenza nel quale il comandante fissa Savastano emergere quasi teatralmente dalle fiamme e zittire con un gesto delle mani il baccano della prigione. Decisamente non male. Nel sottile dialogo tra serialità americana e inevitabile sudditanza italiana, la scrittura e la regia riescono a omaggiare, a riprendere, a creare. E, volendo dare una lettura ulteriore, questo non è tanto diverso dal modello che emerge in alcune pagine del
Gomorra di
Roberto Saviano. Ricollegandoci all'inizio, e ai presunti riferimenti ai
Soprano, va ricordato che nello stesso libro veniva citato un ristorante che prendeva proprio il nome della serie americana (oppure, per rimanere in tema, di una villa costruita sul modello di quella di Tony Montana in
Scarface). Anche in questo senso la teatralità e l'immagine – che nei primi due episodi erano testimoniate dall'arredamento della casa dei Savastano – sono parte del potere. Quindi da un modello di criminalità ad un altro, e di conseguenza da un racconto della criminalità ad un altro: i riferimenti e i collegamenti sono quasi dovuti.
A proposito di collegamenti, quelli tra l'interno e l'esterno della prigione, e quindi da Pietro a Gennaro e Ciro, sono rappresentati dal gruppo dei neri che controlla una certa zona, e che richiede una revisione degli accordi sulla distribuzione della droga. Per farlo faranno entrare un uomo nel carcere. Al di là della granitica e ferma reazione di Pietro, ciò che emerge nella faida è il confronto con il figlio Gennaro, che per la seconda volta disobbedisce agli ordini di Ciro e mette in pericolo se stesso e il gruppo. In questo momento il personaggio di Gennaro è il migliore della serie, il più caratterizzato, quello con più sfumature e il più interessante. Dopo il fallimento dell'uccisione della scorsa settimana, il contraccolpo sul suo equilibrio interno è stato forte, e non basta organizzare un'improbabile quanto kitsch serenata neomelodica alla sua ragazza per rimetterlo in sesto. Intanto, con una svolta a fine episodio, la condizione di Pietro, troppo sicuro di sé, troppo fermo sulle sue posizioni, che sceglie di non seguire i consigli dell'avvocato, peggiora ulteriormente.
Gomorra – La serie pone la camera in alto, in senso letterale e figurato, lanciando sguardi impietosi ed evocativi sulla città, raccontando con stacchi improvvisi lo stridore tra le luci della notte e la spazzatura che affolla le strade del mattino. Un approccio che tiene fede a quello che avevamo individuato la scorsa settimana, non limitandosi, come Romanzo Criminale, a raccontare la criminalità e le singole individualità che la compongono, ma affondando lo sguardo nel tessuto sociale che di questa è prodotto e causa al tempo stesso. La narrazione tuttavia spesso si incarta nell'eccessiva semplificazione e linearità dell'intreccio – questo sì un punto in comune con Romanzo Criminale – senza tuttavia pregiudicare l'interesse per una storia che, al di là di tutte le letture nascoste, si rivela semplicemente accattivante e interessante da seguire.