Gomorra - La serie: la recensione della doppia première - Articolo del 12 maggio 2016 - 186799

Ritorna Gomorra con la seconda, attesa stagione su Sky: un doppio episodio molto convincente, che proietta i personaggi verso nuovi sviluppi

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Spoiler Alert
Probabilmente è un azzardo fare un paragone tra le vicende sospese di Jon Snow in Game of Thrones e quelle di Genny Savastano in Gomorra. Diverse produzioni, diverse storie, diversi contenuti. Ma è anche vero che senza azzardo e coraggio non si va da nessuna parte, e Gomorra – in generale le produzioni di Sky degli ultimi anni – hanno dimostrato che, con la giusta cura e spregiudicatezza, si può ambire a costruire qualcosa di dignitoso, che abbia soprattutto un certo respiro internazionale. Che non significa rinunciare alla propria personalità per inseguire modelli che non ci appartengono, ma applicare linguaggi universali a storie più vicine alla nostra sensibilità.

L'idea di giocare su un cliffhanger classico, ma sempre valido, come quello di un personaggio sospeso tra la vita e la morte, è ciò che dà forza propulsiva ad una storia che in qualche modo sa che gli spettatori conoscono già la risposta, che vuole giocare con noi ma senza prenderci in giro. Il primo episodio della seconda stagione di Gomorra infatti esclude quasi del tutto le dinamiche corali, gli intrecci forti, le reazioni esagerate che ci saremmo aspettati dopo l'esplosivo finale della prima stagione. Genny è un fantasma nelle conversazioni, una sagoma immobile all'inizio e alla fine della puntata, e nulla più. Suo padre si è appena ripreso dalla fuga, annuncia rappresaglie, ma in fondo non compie nulla di concreto per riprendere il controllo del territorio. Ciro ne anticipa le mosse, crea le basi per la pace dopo aver fatto la guerra, si avvicina a Conte e forma un'alleanza.

Come detto nel commento in anteprima alla doppia première, Gomorra con questo primo episodio mette una pietra sull'arco narrativo della prima stagione. Questo avrebbe potuto davvero essere il finale della prima annata. L'incendio è già scoppiato, rimane solo da osservare il fumo che si leva e i personaggi che a fatica riescono a vedere cosa si nasconde davanti a loro. Non a caso l'episodio, per dare spessore agli eventi, deve costruire tutta un'inedita situazione giocata sui dubbi e le paure di Deborah, la moglie di Ciro che teme per la vita della sua famiglia e medita di rivolgersi alla polizia. La svolta molto drammatica della fine dell'episodio potrebbe sembrare eccessiva, ma funziona come chiusura e sfogo della tensione accumulata fino a quel momento.

Ma la grande conferma arriva nel secondo episodio. Perfetto, intenso, costruito benissimo. Al suo secondo anno, la serie di Stefano Sollima dimostra controllo delle situazioni, capacità di far respirare e interagire i suoi personaggi, coraggio di giocare sul non detto. Come lo scorso anno, si tratta di due puntate che hanno una natura molto "episodica", ma questo elemento viene sfruttato e diventa un punto di forza nel momento in cui in cinquanta minuti si inizia, si sviluppa e si conclude un discorso. Dall'Honduras a Scampia alla Germania, Genny ritorna protagonista assoluto dopo uno stacco temporale necessario – anche qui, facciamo respirare le situazioni, creiamo nuovi equilibri – ed è sempre il suo lo sguardo protagonista, anche quando è in scena con suo padre Pietro.

In una serie finora molto diretta, si racconta in modo sottile la frustrazione del personaggio, si sfiora con grande delicatezza il senso di colpa che Gennaro prova nei confronti del padre ora che è diventato più importante, più forte, più capace negli affari di lui. Il conflitto si sposta su un piano non solo fisico, brutale, istintivo come poteva essere nella prima stagione, ma anche psicologico. Non ci sono risposte certe, non ci sono reazioni e caratteri troppo rigidi, c'è la voglia di giocare sul dubbio e sulle molte possibilità di personaggi che affrontano un periodo di assestamento. Se questo è il biglietto da visita della seconda stagione, le possibilità sono enormi.

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