Gold, la recensione

Gold è quindi un film che potenzialmente potrebbe essere molto più di quello che mostra e che invece, dando per scontato quasi tutto e insistendo sullo sfinimento, perde completamente il senso di ciò che vuole raccontare.

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La recensione di Gold, al cinema dal 17 marzo

Siamo sulla falsa riga del post-apocalittico alla Bad Batch, in un deserto dalla collocazione indicibile, vicino ai giorni nostri ma non si sa davvero quanto - sentiamo parlare alla radio di bitcoin, sappiamo che c’è una migrazione di massa e che l’acqua è una risorsa più che preziosa. Il resto non è dato saperlo. Gold di Anthony Hayes si presenta così, con coordinate quasi nulle, uno sfondo narrativo illeggibile e un protagonista emaciato (Zac Efron), senza passato e identità, che compie un viaggio in cerca di una terra promessa verso Est (all’opposto del tradizionale Ovest cinematografico, il mondo del West e la culla della nuova civiltà), e che invece porta lui e il suo autista (Hayes stesso) a dover collaborare per portarsi via  l’enorme filone d’oro che scoprono lungo la strada.

Se la tesi di Hayes è fin troppo chiara, ovvero che l’avidità è connaturata alla natura umana (e People ain’t no good di Nick Cave & The Bad Seeds, sul finale, non lascia spazio a equivoci) il modo in cui il film arriva alle sue conclusioni è decisamente fuori scala e a dir poco semplicistico. In una progressione lenta ed estenuante Gold non scioglie mai gli innumerevoli dubbi che genera sul mondo e sulle premesse e si nasconde invece più che può (ovvero la quasi totalità del film) in una veste da survival movie duro e puro dal cinismo plateale - che, per quanto potenzialmente apprezzabile e coerente con il genere, non essendo mai argomentato non può che risultare pretenzioso.

Hayes si limita infatti ad osservare la sopravvivenza di un uomo anonimo in una natura ostile, contemplando con sguardo disinteressato e poco interessante (con qualche campo lungo e lunghissimo ad alternare la noiosa messa in quadro del personaggio) la sua smania e i suoi progressivi deliri tra paesaggi sempre uguali e dinamiche più che ripetute. In ciò che Hayes ci mostra non c'è in sé un dato interessante: le cose che succedono sono poche, e anche quando qualcosa di "grosso" accade viene risolto in pochi minuti. Tutto il film si affida quindi a una visione che, a sua volta, non trova il modo di comunicare intenzioni e stati d'animo che non siano disperazione, sete e fame.

Se in Gold niente va oltre il visibile, di ciò che vediamo la cosa decisamente più interessante è invece la “mummificazione” crescente a cui è sottoposto Zac Efron. In un accumulo di polvere, sangue, bubboni e tagli, il corpo e il viso di Zac Efron sono qui i protagonisti di una decadenza orrenda, orrorifica, che da sè funge da sola sia da orologio del tempo che scorre (ci aiuta ad orientarci in questi orizzonti identici) sia da rivelazione della natura più piacevolmente body horror del film, celata - chissà perché - la maggior parte del tempo per poi essere affermata coerentemente al momento della resa dei conti.

Gold è quindi un film che potenzialmente potrebbe essere - e dire - molto più di quello che mostra e che invece, dando per scontato quasi tutto e insistendo sullo sfinimento, perde completamente il senso di ciò che vuole raccontare.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Gold? Scrivetelo nei commenti!

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