Going clear: Scientology e la prigione della fede, la recensione
È il più completo documentario su Scientology Going clear ma nonostante un materiale incredibile non riesce a usarlo per generare un pensiero nuovo
Grazie alle interviste realizzate a molti degli esuli della chiesa, una volta occupanti posizioni di prestigio e potere (tra cui figura anche Paul Haggis), Gibney organizza e mette in scena informazioni dettagliate e chiarissime con le capacità narrative che gli competono.
Il suo obiettivo non è solo esporre la verità a tutti i livelli (come funzioni ma anche perchè funzioni così bene), più in alto quel che il documentario vorrebbe ambire a dire è però qualcosa di significativo sul bisogno di credere, ed è qui che fallisce. Going clear, desidera essere così chiaro ed efficace, così empatico e shockante che si appoggia addirittura a scene girate appositamente per fare da contrappunto ai racconti, per mettere in scena dei dettagli di ciò che viene raccontato. L'effetto non solo è molto kitsch ma anche abbastanza degradante. Mettere in scena qualcosa, anche se parzialmente e solo per dettagli che illustrino le parole è in sè un punto di vista, non è un'operazione neutra, rinforza una lettura drammatica dei fatti. Si dirà che anche un documentario senza immagini di finzione non è un'operazione neutra, ed è vero, ma l'arma della ricostruzione appare ben più che superflua in questo caso, un calco puerile di qualcosa già presente nelle interviste.
L'unico limite di Going clear allora è quello di rinforzare tutto quello che già crediamo, di fornire una base concreta a quel che si è spesso detto, senza avere la forza di costruire qualcosa su tutto ciò, senza avere l'acume di utilizzare tutto questo materiale straordinario per andare più in là della mera esposizione di informazioni.