Godzilla Minus One, la recensione

Dentro a Godzilla Minus One c'è una storia umana nella quale la presenza del mostro non è solo minaccia collettiva ma anche paura individuale

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Gozilla Minus One, il prequel della nuova saga giapponese di Godzilla al cinema dall'1 al 6 dicembre

Che sfacciati! Godzilla stavolta compare nei primi minuti, su un’isola e in dimensioni ridotte, grande quanto un tirannosauro. Sono gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, e in una stazione di riparazione degli aerei dei kamikaze un pilota destinato al suicidio onorevole non ce la fa. Non è voluto partire, ha finto un malfunzionamento. L’attacco del mostro che decimerà le persone presenti sull’isola non fa che confermarne la scarsa propensione al sacrificio. Tornato a Tokyo si ritrova dentro Dodes’ka-den di Akira Kurosawa, solo che non è una baraccopoli della fine degli anni ‘50 quella in cui è finito ma il frutto delle macerie della guerra. In quel mondo meschino e disperato incontra una donna con una neonata non sua, tre reietti che formano una famiglia.

Come si capisce dall’attacco, nonostante il clamore dell’apparizione il mostro è un elemento che a lungo percepiamo come secondario, prima viene questo piccolo dramma umano, girato con eccezionale sensibilità per tutte le persone, interessante e coinvolgente. Siamo di fronte alla risposta alle domande: che cosa accadrebbe se tenessimo davvero alle catastrofi personali dei personaggi dei film catastrofici? Come sarebbe un film di mostri che fosse scritto per dare importanza all’umanità contro cui le creature si scagliano? Già Shin Godzilla, l’artefice di un nuovo corso e di un nuovo tipo di film sui mostri giapponesi, sceglieva di fare un film di politica, di corridoi e di decisioni, senza ammirazione per la minaccia ma con un interesse nerd per la maniera in cui gli esseri umani si organizzano. Ora questo prequel (che non è arte moderna come quello ma è un buonissimo film) si concentra sulla devastazione e le conseguenze, effettive e potenziali, degli attacchi per dare di nuovo importanza alle persone.

In Godzilla Minus One il kaiju, almeno nel suo passaggio da mostro mitologico a gigante-calpesta-palazzi, non è solo un prodotto dei test delle bombe atomiche, questa volta Godzilla è l’atomica. La distruzione che porta in città è messa in scena come la devastazione di una bomba: le onde d’urto, le macerie e le radiazioni. Tutto è uguale all’esito di una atomica e di questo il film parla: della disperazione delle persone. Ed è efficacissimo. Ribalta la funzione dei personaggi, da archetipi narrativi funzionali alla costruzione del simulacro di una società intera che si oppone alla minaccia, a centro di una storia reale. In questo senso il mostro è sia incubo collettivo di un popolo (l’atomica) che simulacro dei demoni personali del protagonista, il soldato pieno di senso di colpa perché non è voluto morire per una causa persa che deve affrontare quel mostro per sentire di meritare una nuova vita con una bambina piccola.

Tutta la componente più avventurosa arriverà ovviamente, e sarà fatta bene, sia quando mette il protagonista a contrasto con Godzilla sulla stessa barca con la quale Dreyfus, Shaw e Scheider a stento sono riusciti a fare fuori uno squalo gigante, sia quando viene il momento in cui le persone, non i governi o gli stati, devono organizzarsi per trovare una soluzione e distruggere il mostro che nemmeno la più grande e potente delle navi da guerra è riuscita a fermare. Ci vorrà la scienza, l’ardore umano e la solidarietà in un finale epico, apertamente modellata su Dunkirk di Christopher Nolan (per il rapporto con la colonna sonora, il piacere delle inquadrature di volo e l’intreccio di solidarietà e spirito di un popolo)

A differenza di quello di Hideaki Anno, Godzilla Minus One però è un film anti-governativo, in cui sono le persone grazie alle loro competenze individuali a provare a fare ciò che nessun altro reputa possibile. E per quanto la scrittura a tre quarti si slabbri, rallentando di colpo il proprio tempo, proprio con quella sensazione di fastidio di un disco che per un malfunzionamento va sempre più lento, poi il film sa riprendersi per il grande finale mescolando il tema originale e uno score nuovo di grandissimo impatto eroico per fare non orrore, non cinema di catastrofe né semplice azione, ma pura avventura.

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