Godzilla, la recensione

Thomas Tull e la sua Legendary hanno fatto una scommessa: rilanciare Godzilla sul grande schermo dopo il passo falso di Emmerich nel 1998. Il verdetto è...

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The King has Returned.

E' la frase che pronuncia Rafiki nel Re Leone al ritorno di Simba e che risulta decisamente pertinente a descrivere questo reboot.

 

 

 

Come al solito, la prendo un po' larga.

Tutto sommato il lungometraggio di Roland Emmerich uscito nel 1998 non era da buttare, una volta tenuto conto del fatto che NON ERA Godzilla. Era un godibile monster movie che per ragionimeramentecommercialiaveva“comprato”dallaTohoilnome del celeberrimokaiju, ma che con questo non avevaalcunlegamediparentela. Apprezzabili i riferimentiall'attualità dell'epoca e agliesperimentinuclearifrancesi in Polinesia, gustosoilpescatoreche, sotto shock,riesce a ripetere solo "Gojira”, spettacolari le scene a New York. Ma un'iguanageneticamentemodificata in cercadipesce, NON E' il Re deiMostri.

Lo sapete, non sono un talebano della “fedeltà a tutti i costi”, ma quando si tratta di adattare o rilanciare una storia basata su un franchise che, all'epoca dei Mondiali in Francia, aveva già 44 anni di vita alle spalle, ritengo che almeno l'ossatura di base vada sfruttata come si deve. Diciamo che, a distanza di svariati anni, lo ricordo con piacere, l'ho rivisto svariate volte, ma preferisco di gran lunga la soundtrack che ha accompagnato la release della pellicola, specie i singoli: No Sheler dei Rage Againts the Machine, Deeper Underground dei Jamiroquai, Come with me di Puff Daddy feat. Jimmy Page e Heroes di David Bowie nella cover degli Wallflowers capitanati dal figlio di Bob Dylan.

Un album che vive a imperitura memoria di quando Mtv era ancora un'emittente musicale e non un aggregatore di reality show in cui un numero variabile di elementi di una pittoresca fauna umana viene piazzato all'interno di un ambiente più o meno circoscritto con l'unico obbiettivo di farli accoppiare.

Mi fermo qua con i ricordi, sennò del reboot va a finire che non parlo.

Ormai siamo tutti abbastanza consapevoli che il mondo dell'informazione cinematografica è lastricato di buone intenzioni che però, finché non si arriva alla prova del nove della visione, devono essere prese cum grano salis. Poi èchiaro, la questionepuòcambiaredacaso a caso. Se, come nelcasodiGodzilla, le esternazionivengonoda Thomas Tull, unoche con la sua casa diproduzione, la Legendary, ha firmatoinsiemeall'ex partner WarnerBros. roba come 300, la trilogia del CavaliereOscuro, la saga diUnaNottedaLeoni e, soprattutto, PacificRim, sisa se non altro che a proferir verbo non èunoche lo fa solo per darfiatoallabocca e far rilanciare le sue parole datutta la stampacinematograficamondiale.

Quando un produttore del genere decide di affidare una gigantesca produzione come questa nelle mani di Gareth Edwards poi, i casi sono due: o è pazzo, o è uno che sa il fatto suo.

Trattandosi di Hollywood dev'essere un perfetto mix di questi due fattori.

Monsters, l'esordio di Edwards al cinema, era costato qualcosa come 500.000 dollari. Godzilla ha un budget stimato di circa 160 milioni e dura 123 minuti titoli di coda inclusi; facendo una rapida botta di conti, 1 milione e 300 mila dollari al minuto. Per girare sessanta secondi di Godzilla ci vogliono quasi “tre Monsters”. E' il pallottoliere che lo dice.

Giunto alla prova del nove citata, potrei scendere in “dettagli scabrosi” di come avrei desiderato con tutto me stesso mettermi a gridare e tifare come allo stadio quando Gojira si palesa con tutta la sua maestosa fisicità nel film di Edwards, e di come io abbia dovuto obbligatoriamente mantenere un professionale aplomb data la circostanza: si trattava di una proiezione blindatissima riservata ai giornalisti in partenza per la premiére europea del blockbuster in quel di Londra.

Godzilla rispetta - e fa - esattamente tutto quello che regista, produttore e cast hanno avuto modo di dire nei mesi che hanno preceduto il suo arrivo nelle sale.

Riprende un concept che, purtroppo anche alla luce dei tragici avvenimenti di Fukushima nel 2011, non aveva alcun bisogno di essere cambiato e lo applica con successo a un tentpole fatto e concepito per il pubblico del 2014. Un blockbuster che non si limita a piazzare sulla locandina i caratteri che formano il nome di un celeberrimo e ultrapop brand nipponico, ma che lo omaggia, celebra e lo rilancia in pompa magna.

Edwards, che viene dalla regia “embedded” del suo “piccolo film” d'esordio, gioca d'astuzia e pone lo spettatore in posizione di osservatore impotente di quello che accade sul grande schermo. Inevitabile fare un paragone con l'altro fantastico monster movie targato Legendary, Pacific Rim. Guillermo Del Toro ci ha piazzato, per forza di cose, nel mezzo dell'azione perché nella sua pellicola gli uomini hanno creato dei mostri per combattere altri mostri. In Godzilla, l'esercito americano può dispiegare tutti i mezzi che vuole, ma al cospetto di un “Godzillasaurus” alto 100 metri che combatte, per attestare il suo status di creatura dominante, due Massive Unidentified Terrestrial Organism (MUTO) di dimensioni altrettanto cospicue, può solo guardare, scappare e sperare che tutto non vada definitivamente in malora. I missili lanciati dai caccia, Gojira li usa per fare il trattamento mattutino di scrub alle creste dorsali.

Il design del kaiju poi, nonostante la variazione della stazza – è alto il doppio dell'originale datato '54 e integra nel suo aspetto gli elementi fisionomici presi da orsi, aquile e cani – rispetta quello che i fan del franchise giapponese hanno imparato ad amare. Il Re dei Mostri è grosso, pesante, rabbioso, ponderoso. Non ha il design longilineo e scattante incomprensibilmente scelto da Roland Emmerich e da Patrick Tatopoulos per la creatura del “remake” anni novanta. E, soprattutto, ruggisce per ribadire “Qua comando io”, spara un raggio radiottivo dalla bocca e, combattendo contro altri gargantueschi mostri mutanti è, inconsapevolemente, un alleato degli umani.

Il regista, oltre a guidarci verso la rivelazione della creatura in una maniera realmente assimilabile a quella con cui Spielberg ha costruito Lo Squalo o l'arrivo del T-Rex in Jurassic Park, sfrutta il 3D in maniera intelligente, funzionale all'azione e va a posizionare il nostro sguardo dietro quello di altre persone costringendoci ad allungare il collo per continuare a vedere cosa stiano combinando i simpatici bestioni. Blocca appositamente la visuale per acuire la nostra curiosità, il nostro desiderio, per poi soddisfarlo in panoramiche perfettamente strutturate. E nella costante escalation di devastazione metropolitana cui i grandi blockbuster ci mettono di fronte oggigiorno, Edwards riesce a concepire delle scene che sono una gioia per gli occhi, concedendosi anche il lusso di usare il Requiem for Soprano, Mezzo Soprano, Two Mixed Choirs and Oschestra di György Ligeti nella scena con i paracadutisti che si è vista anche in un trailer in cui lo stacco dalla soggettiva di Ford Brody (Aaron Taylor-Johnson) a dei campi lunghi e lunghissimi sottolinea l'insignificanza dei soldati di fronte alle colossali, solenni creature in un crescendo di tensione e meraviglia.

E anche se i veri protagonisti sono i mostri – a proposito, se avete visto Monsters non potrete non notare un passaggio che cita direttamente l'epilogo della pellicola – il cast si rivela comunque estremamente azzeccato. Nonostante i pochissimi momenti insieme, Aaron Taylor-Johnson e Elzabeth Olsen sono incredibilmente affiatati sullo schermo e il quadro d'intimità familiare che creano pare più documentaristico che cinematografico. Se le premesse per la loro “reunion” in Avengers: Age of Ultron sono queste, si parte alla grande. Bryan Cranston come sempre è impeccabile anche se un po' troppo ancorato, indubbiamente per ragioni di sceneggiatura, a delle ficcanti e drammatiche one liner, Juliette Binoche appare per cinque minuti solo come introduzione al dramma familiare della famiglia Brody e Ken Watanabe si limita a fissare il prossimo e/o il panorama con espressione ora sgomenta, ora allarmata, ora sbigottita. Ma quando pronuncia in giapponese il nome di Godzilla è virtualmente impossibile non avvertire un brivido lungo la schiena.

Difetti di poco conto in un blockbuster che aveva diversi scopi fra i quali il distanziarsi in maniera chiara dall'altro kaiju movie targato Legendary arrivato al cinema lo scorso anno, Pacific Rim, di presentarsi a un pubblico più amplio e meno "settoriale" di quello che componeva l'uditorio di Del Toro, porre le basi per un nuovo franchise per cui, ora come ora, bisogna "solo" attendere il responso del pubblico e, soprattutto, di confezionare un blockbuster capace di coniugare il rispetto verso un icona cinematografica come quella della Toho (buona parte del film grida ad altissima voce "Evviva il Sol Levante!") e le necessità di tutta quella larga fetta di pubblico non necessariamente esperta in materia.

Obbiettivi che sono stati ampliamente conseguiti.

Godzilla è enorme. E' rabbioso. Ruggisce. E' una forza primordiale allo stato puro.

The King (of monsters) has returned.

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