Godzilla II: King Of The Monsters, la recensione
Senza molti sofismi e con una certa apprezzabile capacità di andare al punto, Godzilla II: King Of The Monsters è un film che ragala soddisfazione
È Millie Bobby Brown, già protagonista di Stranger Things e quindi già aderente all’immaginario post-spielberghiano. A partire da lei, sua madre e suo padre, si snoda l’avventura del ritorno dei kaiju, questa volta tanti e tutti insieme. Se il primo Godzilla affermava e illustrava la presenza del re dei mostri, lo faceva scontrare con un nemico e poi rinascondere, stavolta Godzilla è qui per rimarcare la propria supremazia su quello che ormai definitivamente è un pianeta in cui gli umani devono convivere con i titani. Per questo qui capiremo meglio chi sono e da dove vengano (addirittura perché).
Godzilla II: King Of The Monsters non sarà (e non vuole essere) un’opera completa ma è un film di mostri davvero tra i più inappuntabili. Nonostante sia costretto a giocarsi la carta Pacific Rim (gli scontri avvengono spesso al buio, sotto la pioggia, così che si veda meno e gli effetti visivi risultino impeccabili), la coreografia degli scontri e l’economia dei piccoli umani nel mezzo è sempre stupefacente, gigantesca ed epica. Dougherty mette in scena qualcosa di immenso, carico di radiazioni e di desiderio di menare le mani, che si scontra davanti agli occhi di umani che provano a sopravvivere.
Senza svicolare il fan service più bieco quando si tratta di nominare, elencare e riconoscere le varie creature storiche (da Mothra a Rodan a King Ghidorah), Dougherty come annunciato non muove un passo dal design storico delle creature. Non è il massimo come scelta, molto conservativa e un po’ pavida, ma indubbiamente raggiunge l’obiettivo.