God of War non è più solo ira e violenza - Recensione
Scordatevi God of War come l'avete sempre conosciuto, il nuovo capitolo è un'altra cosa: scoprite se questo sia un bene nella nostra recensione
I primi momenti di God of War sbalordiscono, ammaliano più che esaltano, perché di azione ce n'è poca in quei frangenti, ma si rimane comunque a bocca aperta. È impossibile rendersi conto di quanto impatto abbia la nuova telecamera fin quando non la si vede in azione: sempre e solo una singola inquadratura, che però allarga e riduce il proprio campo, scorre, rotea, avendo come focus principalmente Kratos. Non c'è praticamente soluzione di continuità tra il giocato e gli eventi d'intermezzo, ed è quanto fa più presa nel fruitore dell'opera, che raggiunge un livello di immersione assoluto. Non è solo per la vicinanza dell'inquadratura, ma è proprio per un taglio enormemente più efficace della più curata delle visuali in prima persona.
Il secondo colpo dell'uno-due con il quale si viene piacevolmente storditi è quello rappresentato dal comparto tecnico e dalla direzione artistica che lo domina. God of War è uno dei videogiochi più belli da vedere di sempre. L'abbandono del background legato alla mitologia greca, a favore di quella norrena, non solo permette di dipingere ambientazioni totalmente nuove nelle quali collocare la nuova avventura di Kratos, ma porta in dote anche una maggiore raffinatezza nella maniera in cui vengono rappresentati personaggi e luoghi. Abbandonati gli eccessi persino trash dei predecessori, il nuovo capitolo si appoggia a un fantasy poco canonico (i nani e gli elfi di God of War non li avrete visti da nessun'altra parte) ed estremamente affascinante. C'è dietro un lavoro enorme, del quale l'abbondanza poligonale, la pulizia e il dettaglio delle texture, la cura negli effetti particellari sono, paradossalmente, il meno. La tecnica è sontuosa, ma stupisce persino meno della visione di uomini, dei, mostri e spazi infusa nel gioco.
[caption id="attachment_184126" align="aligncenter" width="1920"] God of War non è una storia, è una serie di storie. Anche quella di una strega e del suo cinghiale[/caption]
Se siamo giunti fin qui senza parlare di un'altra novità del gioco, la presenza del figlio di Kratos, Atreus, è perché volevamo darle un apposito spazio. La preoccupazione che molti avevano (scrivente in primis) era che nel gameplay si dovesse far quasi da balia all'inesperto ragazzino e che la sua presenza monopolizzasse storia, tematiche e approccio ad esse. Niente di tutto ciò. Viene raccontato il viaggio di un padre e di suo figlio, ma la narrazione non è totalmente incentrata sul loro rapporto, né si lascia andare a scontati sentimentalismi, e ciò non era per nulla scontato. È chiaro che si va a comporre, passo dopo passo, un rapporto tra l'uomo e il ragazzo, che i dialoghi tra i due assumono sfumature più sfaccettate, ma non è lì che si esaurisce quanto God of War vuole esprimere. E negli scontri il ragazzo è elemento strategico, non fastidio, essendo utile a stordire i nemici, con le sue frecce, e a tenerli impegnati con i suoi attacchi. Soprattutto, non può morire, quindi non occorre preoccuparsene particolarmente.
Ed eccolo quindi, il nuovo corso di God of War, nel quale è riconoscibilissima l'impronta di una serie che ha sempre incanalato la violenza e l'ira nel combattimento action e che continua a farlo, ma che forse solo qui arriva alla maturità, e non solo perché, come si potrebbe supporre grattandone solo la superfice, si fa più densa nella narrazione, più profonda nelle tematiche e maggiormente impattante nell'esperienza complessiva, ma perché compie coraggiosi passi verso un gameplay più strutturato, vario, ricco, denso. E pazienza se alcune delle soluzioni implementate sanno di già visto, se il respiro adventure non è ampissimo: SIE Santa Monica Studio ha trasformato God of War, e la sua nuova forma è già la più bella.