GLOW (terza stagione): la recensione
GLOW rimane un prodotto intelligente e stratificato, che forse inizia ad avere il fiato corto, ma che continua a respirare grazie alle sue protagoniste.
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Questa è una serie che alla terza stagione ha raggiunto un grado di maturità tale da potersi appoggiare anche solo sull'interazione tra le sue protagoniste. Di fatto questi dieci episodi ne sono la prova continua: l'intreccio è labile, le piccole storyline talvolta cadono nel vuoto, vari personaggi di contorno, a partire dalla new entry Geena Davis, non sono sfruttati al meglio. Ma GLOW sopperisce a queste mancanze grazie alla forza del gruppo e alle sue individualità. È innegabile che Debbie e Ruth siano la forza propulsiva tra le protagoniste, ma ogni volta che la serie chiede respiro – o il cambio sul ring, per restare in tema – alle altre, le trova sempre pronte.
La stagione accompagna con un respiro rilassato le vicende dei personaggi. Ci sono episodi più chiusi, tra cui uno molto intenso in cui le protagoniste si concedono una gita in montagna, e altri più frettolosi, in cui vedremo degli stacchi temporali anche di un certo rilievo. Il senso del dramma immediato viene meno, ma GLOW funziona scavando più nel profondo, ricavandosi una nicchia nei piccoli, anche semplici momenti vissuti nel presente. Ecco allora che le sequenze in cui Ruth e Debbie scherzano senza freni solo altrettanto importanti rispetto ai confronti diretti.
Dietro i suoi costumi sgargianti e le sue recite sul set, dietro una storia che, come detto, non offre picchi superficiali di dramma, GLOW pone attraverso Ruth e Debbie questioni scomode. Sul sogno americano e sui ruoli sociali imposti, ma anche sulla la difficoltà di venire a patti con i propri orizzonti professionali. Il tutto raccontato con la dovuta complessità, senza facili risposte, che in effetti non esistono. GLOW rimane un prodotto intelligente e stratificato, che forse inizia ad avere il fiato corto, ma che continua a respirare grazie alle sue protagoniste.