Gli Uomini d'Oro, la recensione
Non impeccabile ma compatto ed efficace per almeno metà della sua durata, Gli Uomini D'Oro è un passo avanti nella direzione giusta
GLI UOMINI D'ORO, DI VINCENZO ALFIERI - LA RECENSIONE
Ci stiamo arrivando, piano piano, a fare cinema di genere di livello medio che sia buono e (magari) anche ottimo. Lo si capisce dal fatto che in Gli Uomini d’Oro, un noir di periferia moderno, un film di rapina, tensione, violenza e conseguenze amare, tutto il comparto tecnico funziona benissimo. Quello che prima era un limite evidente (i film non sembravano di genere, non suonavano di genere, arrancavano non appena le scene erano un po’ più movimentate di un dialogo) adesso sembra scavalcato.
E di credibilità, purtroppo, ne ha ancora bisogno. Perché questa storia, tratta da un fatto di cronaca, di tre impiegati di un furgone portavalori che decidono di fare un colpo per sistemarsi (che si amplia alle loro vite e a diverse ramificazioni criminali), è ancora un po’ convenzionale e non riesce ad avere sempre il medesimo livello. È perfetto Giampaolo Morelli, sbruffone che non vuole lavorare e idea il piano, come sono perfetti i comprimari, ma non lo è l’uomo grigio e rancoroso di Fabio De Luigi (anzi è una macchietta anche se non vuole far ridere) ed è solo abbozzato il pugile in cerca di legittimazione di Edoardo Leo (invece che carica che ha Mariela Garriga, la sua donna!).
Non dobbiamo mai dimenticarci che veniamo da anni in cui i film di genere italiani erano per la maggior parte La Doppia Ora, i film “è molto più che un noir”, che partivano in una maniera e finivano nei soliti lidi. Gli Uomini D’Oro parte come deve e finisce come deve, sapendo esattamente che strada prendere e avendo anche la grazia di confezionare a modo la scena cruciale (la rapina) e non è poco. Non è poco per niente.