Gli Uomini d'Oro, la recensione

Non impeccabile ma compatto ed efficace per almeno metà della sua durata, Gli Uomini D'Oro è un passo avanti nella direzione giusta

Critico e giornalista cinematografico


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GLI UOMINI D'ORO, DI VINCENZO ALFIERI - LA RECENSIONE

Ci stiamo arrivando, piano piano, a fare cinema di genere di livello medio che sia buono e (magari) anche ottimo. Lo si capisce dal fatto che in Gli Uomini d’Oro, un noir di periferia moderno, un film di rapina, tensione, violenza e conseguenze amare, tutto il comparto tecnico funziona benissimo. Quello che prima era un limite evidente (i film non sembravano di genere, non suonavano di genere, arrancavano non appena le scene erano un po’ più movimentate di un dialogo) adesso sembra scavalcato.

Sia il look di Gli Uomini d’oro (il direttore della fotografia è Davide Manca, lo stesso di I Peggiori e 2Night) che il sound (nei curriculum del team che si occupa del reparto sono ci sono esperienze in Addio Fottuti Musi Verdi, Lo Chiamavano Jeeg Robot e la serie Catch-22), sono del livello giusto e non sono più una zavorra ma anzi aiutano il film là dove ne ha bisogno per guadagnare credibilità.

E di credibilità, purtroppo, ne ha ancora bisogno. Perché questa storia, tratta da un fatto di cronaca, di tre impiegati di un furgone portavalori che decidono di fare un colpo per sistemarsi (che si amplia alle loro vite e a diverse ramificazioni criminali), è ancora un po’ convenzionale e non riesce ad avere sempre il medesimo livello. È perfetto Giampaolo Morelli, sbruffone che non vuole lavorare e idea il piano, come sono perfetti i comprimari, ma non lo è l’uomo grigio e rancoroso di Fabio De Luigi (anzi è una macchietta anche se non vuole far ridere) ed è solo abbozzato il pugile in cerca di legittimazione di Edoardo Leo (invece che carica che ha Mariela Garriga, la sua donna!).

Sono più che dettagli, sono zavorre che rallentano il film e che ci vengono dal fatto che il nostro star system (dopo decenni di commedia) è questo, e con questo dobbiamo operare la transizione. Alcuni sono più versatili, altri meno. Anche per questa ragione quel tono disperato da noir piovoso e grigio sta più sulla carta (e nella fotografia) che altro, ma va bene. Va bene perché Gli Uomini D’Oro, a differenza del film precedente di Alfieri, I Peggiori, il piglio giusto ce l’ha, le intenzioni corrette ce le ha, e per quanto arrivi alla meta spompato, per quanto non abbia l’asciuttezza e la capacità di dire molto senza perdere tempo tipica dei migliori B movie (anzi è un po’ largo e prolisso quando non serve come accade nel finale con Gianmarco Tognazzi, fino a quel punto impeccabile) lo stesso alla fine alla meta ci arriva.

Non dobbiamo mai dimenticarci che veniamo da anni in cui i film di genere italiani erano per la maggior parte La Doppia Ora, i film “è molto più che un noir”, che partivano in una maniera e finivano nei soliti lidi. Gli Uomini D’Oro parte come deve e finisce come deve, sapendo esattamente che strada prendere e avendo anche la grazia di confezionare a modo la scena cruciale (la rapina) e non è poco. Non è poco per niente.

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