Gli infedeli, la recensione

Ancorato timidamente al format francese originario, Gli infedeli evita di prendere posizioni forti sulla società italiana contemporanea

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C’erano una volta i film a episodi… e la commedia sexy. Ed è proprio ripescando le logiche produttive e le forme esterne di quel tipo di cinema che inondò le sale italiane durante gli anni Settanta, che Gli infedeli tenta timidamente di aprire una strada - oggi - alternativa nel nostro panorama produttivo. Ma l’impressione è purtroppo quella di non aver voluto rischiare abbastanza, sprecando una buonissima occasione di diversificazione e sperimentazione.

Il concept di base era comunque una scommessa a rischio medio/basso. Gli infedeli è infatti il remake dell’omonimo film francese del 2012, Les infidèles, un successo al botteghino che aveva come elemento attrazionale la presenza di Jean Dujardin e Gilles Lellouche, attori principali ma anche co-registi, co-sceneggiatori e, nel caso di Dujardin, produttore. Costruito anch’esso tramite la successione di diversi episodi accomunati dal tema specifico del tradimento, l’adattamento italiano approdato su Netflix cambia qualche variabile ma non la confezione esterna, che nel nostro caso reca il nome di Valerio Mastandrea e Riccardo Scamarcio e la regia per tutti gli episodi di Stefano Mordini.

Se questa confezione esterna è piuttosto ben impacchettata e scorrevole, fluida nel ritmo e nei toni, che non si abbassano né si alzano mai drasticamente tra un episodio e l’altro, tuttavia durante la visione prende presto il sopravvento un certo dispiacere, ovvero quello dato dal constatare che le parti più belle e intelligenti dell’adattamento italiano sono sì quelle originali (scritte da Filippo Bologna, Mordini e Scamarcio), ma che queste costituiscono solo la metà dell’intero film. Ed è un vero peccato, dettato probabilmente dalla strana natura di questa operazione, che i primi episodi siano proprio la copia esatta, battuta per battuta, degli episodi francesi.

Dove sta allora la logica di adattamento culturale del format? Facendo un paragone ancora con l’originale, se non si rivela nel prodotto in sé si rivela nelle sue carenze: ovvero nell’avere eliminato l’episodio gay, nel non avere l’autoironia tutta francese nel trattare il tema del sesso e delle relazioni (un episodio come quello della terapia di uomini malati di sesso che si fanno psicanalizzare da una donna sembra davvero impensabile per il contesto italiano), nel non essere tanto commedia ma più un dramma con alcuni momenti comici. Sia chiaro: gli episodi tutti italiani come quello in cui Mastandrea usa la scusa della partita o quello in cui Scamarcio fa il sottile manipolatore sono davvero ben scritti, ma un paio di esempi non possono bastare a scusare la mancanza di un progetto che sia coeso nel suo complesso.

Accorciato e tagliuzzato sia nella durata complessiva (ci sono diversi episodi in meno) che nella molteplicità di sguardi sulla società italiana contemporanea, Gli Infedeli è purtroppo l’ennesima occasione mancata per il nostro cinema di prendere posizioni forti, di correre dei rischi, di ridere su sé stesso… nel modo dolceamaro in cui si faceva una volta.

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