La recensione di Gli idoli delle donne, in uscita al cinema il 14 aprileUn film intero di luoghi comuni. Già in questo perno di Gli idoli delle donne c’è un pezzo da 90 della storia di Lillo e Greg: la presa in giro dell’ossessione per i luoghi comuni della nostra lingua.
In origine i luoghi comuni erano sfruttati per uno dei brani più noti del gruppo dei due,
Latte e i suoi derivati, ed è stato lungo gli anni la pietra angolare di molto del loro umorismo fondato sulla riproposizione (spesso inalterata) delle banalità e delle convenzioni delle interazioni. La forzatura in
Lillo e Greg sta sempre nell’ambiente attorno alla banalità che invece di renderla comune, quotidiana e ordinaria, la rende sorprendente, la sottolinea troppo e quindi diventa comica. Così, per accumulo, l’introduzione a
Gli idoli delle donne mostra un gigolo bello e di successo, pieno di clienti e dalla vita soddisfatta, che tuttavia nessuno vuole far parlare perché come apre bocca gli esce un luogo comune.
Parlare per luoghi comuni equivale a pensare per luoghi comuni, non solo le sue parole sono banali ma anche i suoi ragionamenti. Non è un problema fino a che un incidente lo fa passare da bellissimo a Lillo, la sua carriera da gigolo dovrebbe ora basarsi sulla personalità, dunque è finita. Per recuperare si fa mandare dal guru, un mistico ex gigolo che gli insegnerà come essere interessante per le donne. In tutto questo un signore della droga colombiano (interpretato e praticamente scritto da Corrado Guzzanti in forma smagliante, ottimamente inquadrato e irregimentato al servizio del ritmo del film) sta arrivando in Italia per degli affari assieme alla sua famiglia, che include la figlia. Lei vuole tantissimo un uomo, il padre è pronto ad uccidere chiunque la tocchi. Questo è l’intreccio che si tenderà nella terza parte di un film finalmente diretto da un regista abilissimo (Eros Puglielli, che co-firma la regia con Lillo e Greg, e la cui mano si vede subito, soprattutto in un ritmo costante e molto ordinato) e quindi finalmente non solo scritto a dovere ma anche sfruttato a dovere.
Non ci sono dubbi che sia questo il film migliore di
Lillo e Greg, il primo a livello dei loro spettacoli teatrali quanto a fusione di scrittura, interpretazione e senso generale, in cui lo svolgimento non si limita a far entrare i due in scena e interagire, ma costruisce una visione di mondo che ha nell’umorismo il grimaldello per la creazione di senso. Si parla di uomini e donne, di corteggiamenti e guru ma sembra che i due parlino delle commedie italiane, sempre fondate sulla banalità più disarmante e che si percepiscono invece bellissime, anche perché hanno successo, le commedie che sono gli oggetti più desiderati del mercato. Il gigolo affascinante ha tutte le caratteristiche della produzione commerciale meno sensata e pigra. Non è un mistero che
Lillo e Greg si muovono da sempre cercando di battere altre strade, le stesse che le commedie più banali, ora cambiate e non più gradite al pubblico vorrebbero imparare, non riuscendo a fare loro i nuovi modelli ma che, come il protagonista, semplicemente alla fine trovano qualcuno che le ama proprio perché banali, qualcuno a cui va bene tutto.