Gli amori di Anaïs, la recensione

Anaïs, come il film che porta il suo nome, non ha nessuna intenzione di fare introspezione e ci attrae decisamente di più per il suo agire vulcanico che per l’intensità (bassa) del suo viaggio interiore.

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La nostra recensione di Gli amori di Anaïs, al cinema dal 28 aprile

Ironica, sopra le righe, smemorata e casinista. Tra le giovani donne in cerca d’identità e affamate d’amore del cinema d’autore contemporaneo, la protagonista (Anaïs Demoustier) di Gli amori di Anaïs si avvicina forse più di tutte (e sì, mettiamoci pure una vaga somiglianza estetica) a Julie di La persona peggiore del mondo. Anaïs, tuttavia, come il film che porta il suo nome non ha però nessuna intenzione di fare introspezione, né di prendersi realmente sul serio (a suo stesso dire, perché non vuole sentirsi triste). E così in questo piccolo, colorato e tutto sommato tranquillo mondo in cui la inserisce l’autrice e regista Charline Bourgeois-Tacquet, la giovane ragazza (grazie alla magnetica attrice protagonista) ci attrae decisamente di più per il suo agire vulcanico che per l’intensità (bassa) del suo viaggio interiore, alla fine deliziandoci di una leggerezza consapevole e tutto sommato piacevole, fatta per durare giusto il tempo di una visione.

Anaïs insomma non punta a colpirci per restare nel nostro cuore, né a farci riflettere su ciò che le accade. Seguendo il flusso di una mente caotica e sempre in cerca di stimoli, Anaïs dalla passione per la letteratura (l’unica cosa che sembra essere costante nella sua vita) ci trascina però con lei in un piccolo viaggio tutto improvvisato che la porta a inseguire Emilie (Valeria Bruni Tedeschi) una scrittrice in carriera, elegante e sicura di sé e che sembra rappresentare per Anaïs più di una semplice proiezione, più di un’aspirazione di vita: un desiderio nuovo, confuso, bello.

Della letteratura, per quanto narrativamente centrale, alla fine rimane ben poco: Charline Bourgeois-Tacquet la usa come pretesto di incontri, come cornice, come spunto per conversazioni di circostanza (o come discorso vago alle presentazioni di Emilie). Forse per suggerire che anche questo “amore di Anaïs per la pagina sarà passeggero, o forse - più probabile - perché è così orientata al personaggio e alla trama sentimentale che tutto il resto passa in secondo piano. Questa leggerezza, questa superficialità del personaggio si fa in un certo senso (ma senza colpe) anche semplicità di sguardo: la regista segue la protagonista ovunque, la mette sempre al centro e lascia che da sé sottolinei, a parole (fiumi di parole, o meglio chiacchiere) e soprattutto fisicamente (Anaïs Demoustier è veloce, nervosa, “un trattore” le dicono all’inizio) la sua assoluta dominanza spettacolare.

Forse proprio per questo il film convince meno quando fa sedere Anaïs, costringendola a riflettere, mettendola alla prova della parola - pur sempre altrui - e dell’emozione: perché ancora non le appartiene. In un momento che per certi versi ricorda il medesimo di un film per certi versi simile, ovvero Tromperie di Arnaud Desplechin (dove tra l’altro c’è sempre Denis Podalydès, che fa un personaggio quasi identico), Anaïs si conferma un personaggio di cartapesta, certamente buffo e intrigante, ma che non si lascia mai leggere.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Gli amori di Anaïs? Scrivetelo nei commenti!

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