Gli amanti passeggeri, la recensione
Inconsueto e quasi sospeso in un limbo metafisico, il nuovo film di Almodovar è un netto passo avanti nella carriera del regista, anche se corre il rischio di non essere apprezzato...
Dovendo dare un'etichetta a tutto, quest'ultimo film di Pedro Almodovar è diventato "il film di Almodovar sulla crisi economica", lo ha detto il regista (che è abile non poco a fare il marketing dei suoi film), lo hanno ribattuto i giornalisti e il pubblico sarà lieto di trovare questa chiave di lettura in un film altrimenti difficile da leggere, anche e soprattutto da chi conosce e ama il cinema di Almodovar.
Sebbene visivamente Gli amanti passeggeri non si allontani dallo stile del regista, lo stesso non si può dire per storia e personaggi cosa che, come spesso capita anche per Woody Allen, rischia di far apparire il film come un Almodovar non riuscito. La miopia che ci induce ad attenderci da un regista con la mano molto pesante la ripetizione di quei tratti che abbiamo amato nel suo cinema, pena giudicare il film come non riuscito, è la stessa che spesso impedisce di vedere dietro la costanza di stile (nel caso di Almodovar una certa fotografia usata in accordo con una certa scenografia e l'uso particolare di determinati attori) mutamenti decisivi.
La trama che Almodovar usa come pretesto per esibire lo scollamento che esiste sempre nei suoi personaggi tra testa e corpo, tra ciò che si è dentro e come si appare fuori, è ancora una volta finalizzata ad una risoluzione verso il piacere (qualcuno perde la verginità, qualcun altro si scopre omosessuale), eppure nella serie di scenette comiche che compongono Gli amanti passeggeri esiste un senso di attesa quasi metafisico che è inedito.
L'impotenza che i personaggi sperimentano verso i propri destini (che cercano di mettere a posto con bellissime telefonate inevitabilmente ascoltate da tutti, in una specie di radiodramma dal vivo) racconta più che un paese fermo in attesa di un crollo (come sostiene il regista) lo stato d'animo di chi lo vive oggi. Privo della vitalità furiosa degli anni '80, impotente di fronte ad una vita e una società che non gli piacciono, indeciso su cosa fare del suo cinema (tanto che da anni sostiene di ascoltare i suggerimenti del pubblico) e indeciso sul destino del proprio paese, Almodovar gira un film che vive di momento in momento, senza pensare al domani, gag per gag fino alla fine.
Rinuncia a tante soluzioni del suo cinema e agita i consueti personaggi in una maniera inedita, per la prima volta da tanto tempo con un'iniezione forte di novità (quella che di certo non c'era in Volver, in Gli abbracci spezzati o nel pur determinante La pelle che abito).
Non piacerà ma invece c'è di che rallegrarsi.