Gli Addestratori, la recensione

Gli Addestratori si perde nel mare delle commedie nostrane fra buoni sentimenti e meccanismi usurati.

Condividi

La recensione di Gli addestratori, il film di Andrea Jublin in arrivo su Prime Video il 25 aprile.

Gli addestratori azzecca un paio di cose che non ci si aspetterebbe da questo tipo di commedia italiana entry level. Parliamo soprattutto di attori: Geppi Cucciari strappa qualche sorriso in un ruolo da cattiva disneyana alla Crudelia Demon. Giovanni Vernia (forse per la mise delirante) fa abbastanza ridere come ex galeotto con problemi di controllo della rabbia. E Lillo, piaccia o non piaccia il suo personaggio bambinesco e impacciato, dimostra sempre più di averne saputo fare una nuova maschera del nostro cinema, emancipandolo dalle origini – peraltro mai rinnegate – nella comicità televisiva dove nasceva come spalla del collega Greg. Non basta però a salvare il film dall’assoluta mediocrità della sua sceneggiatura, indistinguibile da cento altre nel suo meccanismo a equivoci e nel suo richiamo al familismo più innocuo e cerchiobottista.

Pasquale Petrolo (Lillo) addestratore di cani fallito, ha una chance per tornare in pista quando il cognato gli presta la villa di famiglia per mettere su una scuola di agility. Una volta guadagnato un po' Pasquale potrà riprendersi il suo cucciolo, affidato alle cure per niente amorose della sua ex e acerrima rivale Marta (Geppi Cucciari). Per un malinteso si trova però affidati al posto dei cani cinque bambini iperattivi e incontrollabili, che procedono a seminare il caos nella villa.

A volte ci si accorge di quanto un film sia generico dalla difficoltà nel dire qualcosa di specifico su perché non funziona. “Si capisce dove va a parare a ogni singola svolta”, o “non si può basare tutte le gag sulla stessa trita dinamica di misunderstanding” sono cose vere per Gli addestratori come per infinite altre commedie del nostro mainstream, specchio di una scrittura che va avanti col pilota automatico facendo continuamente la cosa più ovvia e prevedibile.

Più facile puntare il dito sui vorrei ma non posso, su quello che il film sembra poter azzeccare e invece non azzecca, tarpato dal suo voler essere basico e rassicurante a tutti i costi. I bambini vengono presentati come dei piccoli mostri ma solo a parole, lasciando rimpiangere l’anarchia dispettosa di un Chris Columbus; il personaggio di Vernia andava liberato molto di più se si voleva sfruttare il potenziale comico di un maniaco omicida represso con affidati dei ragazzini insopportabili. Manca quel po’ di cura e di estro in più che avrebbe potuto fare di Gli addestratori un prodotto gradevole nella sua dimenticabilità.

Continua a leggere su BadTaste