Glass Onion - Knives Out, la recensione

Knives Out cambia struttura e si rinnova, migliorando, con Glass Onion, dove Daniel Craig torna in testa a un cast di potenziali assassini

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Glass Onion - Knives Out, dal 23 novembre al cinema e dal 23 dicembre su Netflix

Se una cosa caratterizza i nuovi gialli angloamericani, da Assassinio sull’Orient Express a Omicidio nel West End, è il trasformare tutta la tensione e il brivido legati alle indagini alle atmosfere brune, mortali e piene di sospetto, in una festa di patina, colori e simpatia. È un ribaltamento di senso che non nega l’obiettivo (scoprire l’assassino di un omicidio) ma ne modifica radicalmente il rapporto con le spettatore. Se i gialli non mettono più la tensione di una volta, allora tanto vale divertirsi con ampi cast di star (spesso mascherate) che prendono in giro se stesse fingendosi caratteristi e un generale senso di commedia con gag più o meno esplicite in un’atmosfera leggerissima di simpatici e rilassanti omicidi. 

È stato Cena con delitto - Knives Out a canonizzare questa idea originale (i due film di Rian Johnson non sono tratti da niente se non dalla testa di Rian Johnson) dopo che Kenneth Branagh aveva riproposto Agatha Christie, riprendendo a sua volta esattamente quell’idea di contesti altoborghesi o paranobiliari, grandi famiglie, investigatori particolari e una rete di relazioni personali da sbrogliare per trovare, più che il colpevole, il movente. Ora Glass Onion, sequel ufficiale e apparentemente prevedibile, ha la forza di cambiare approccio e struttura. La medesima aria divertita e la medesima arguzia e minuzia nel ricostruire, prima di tutto visivamente, le tracce e le trame degli assassini è usata per una storia di idioti, di piani inaffidabili in cui il più inaffidabile dei narratori è il film stesso.

La storia la vediamo infatti due volte con due livelli di approfondimento diversi, come fossero due versioni diverse della stessa sceneggiatura. Una è più centrata sul gruppo di amici che si trova su un’isola privata per un gioco di indagine (e quindi più opaca), l’altra sul caso dell’investigatore Benoit Blanc che all’inizio sembra il tenente Colombo, smarrito e sbadato in un posto in cui nessuno l’ha invitato, e nella seconda versione invece diventa il nostro condottiero. Soprattutto una parte dell'indagine che vedremo sarà inaffidabile, per il modo in cui ci sono mostrate alcune scene fondamentali.

Glass Onion, che è fatto anche radicalmente meglio del primo, non vuole farci scoprire un bel niente, vuole abbracciare la sua natura leggera e rilassante, distraendoci con l’indagine mentre scrive molto meglio i personaggi e lavora ottimamente di recitazione su reazioni e piani d’ascolto per spiegare le relazioni, esattamente la materia di cui sono fatti i gialli, cosa lega le persone e quindi le ragioni per le quali fanno quello che fanno. La maniera in cui tutto questo film tiene sveglio lo sguardo, mentre le molte parole accumulano indizi da ripassare alla fine, è mirabile. In quasi ogni scena c’è una ricerca di soluzione visiva, di luci particolari (quella del faro che passa durante il blackout), di movimenti di macchina che svelano o nascondono o di montaggio (la tensione dello scattare della teca del quadro) o ancora di scenografia (l’assurdo attico nella cipolla di vetro), che invitano a esplorare con lo sguardo quel mondo denso di indizi, invitano anche a capire e seguire il detective fino a che non scopriamo l’idiozia totale e il senso di una storia di idioti.

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