Gladiatori di Roma, la recensione

Uno dei primi esperimenti di animazione in computer grafica italiana pensati per una distribuzione all'estero purtroppo non soddisfa pienamente...

Critico e giornalista cinematografico


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C'era molta curiosità intorno all'esordio in un lungometraggio in computer grafica (non a tema WinX) da parte della Rainbow CGI, lo studio d'animazione tutto italiano che con la serie televisiva delle fatine scosciate si è guadagnata notorietà internazionale e ottimi profitti (anche grazie ad una gestione all'americana del merchandise).

Gladiatori di Roma ha un soggetto scritto da Michael J. Wilson (che al suo attivo ha il primo film di L'Era Glaciale) e sceneggiatura e regia di Iginio Straffi, che poi delle WinX è creatore è di Rainbow è numero uno indiscusso. Un prodotto sostanzialmente italiano, con collaborazioni internazionali e pensato per l'esportazione (ad esempio il labiale è realizzato per la lingua inglese e il doppiaggio italiano ha dovuto adattarsi). Il risultato però è poco convincente sia dal punto di vista dell'animazione (lontana dagli standard cui siamo abituati nonostante l'uso di motori grafici di livello) che di approccio.

Delle molte possibili scuole di pensiero riguardo l'animazione digitale, Rainbow CGI sembra essersi assestata dalle parti della DreamWorks Animation, ovvero cartoni che puntino molto sulla comicità e che siano ricchi di citazioni pop e musica rock. Su un canovaccio classico (l'eroe diventerà tale dopo un addestramento che gli insegnerà anche i veri valori) Gladiatori di Roma organizza una storia per bambini in cui le occasionali strizzate d'occhio agli adulti purtroppo non colmano il gap d'età: nonostante tutto, il film è e rimane un prodotto per l'infanzia. E in questo sta forse la sua peculiarietà maggiore.

Come già accade per le WinX anche questo lungometraggio è caratterizzato da un character design spregiudicato, in cui i personaggi, principalmente quelli femminili, sono modellati come pin-up, con forme e corpi più simili al fumetto americano che all'animazione tradizionale. Non a caso l'ispirazione per la figura di Diana è Angelina Jolie, e si vede decisamente. Eppure, nonostante una trama apparentemente d'azione (un ragazzo che non è fatto per diventare gladiatore imparerà a suo modo a battersi per conquistare la ragazza di cui è innamorato da sempre), Gladiatori di Roma non è un film indirizzato principalmente ai bambini quanto alle bambine. La trama ruota intorno alla soddisfazione d'un desiderio di romanticismo, ed è modellata in modo che le due figure femminili di riferimento siano i due possibili modelli d'identificazione e quella maschile lo sia molto meno, poichè, benchè protagonista, subisce le situazioni invece di dominarle.

Dunque nemmeno l'animazione centrata sulle figure femminili di Straffi è caratterizzata in tal modo per attirare pubblico maschile, quanto per proporre modelli d'identificazione alle bambine che siano diversi e alternativi (nella forma, non nei contenuti) a quelli tradizionali: un po' più audaci, simili a quelli che la società propone alle loro sorelle più grandi. Forse quindi, se si cercasse il segreto del successo di questi prodotti, si dovrebbe prendere questo in considerazione...

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