Gladiatori di Roma, la recensione
Uno dei primi esperimenti di animazione in computer grafica italiana pensati per una distribuzione all'estero purtroppo non soddisfa pienamente...
C'era molta curiosità intorno all'esordio in un lungometraggio in computer grafica (non a tema WinX) da parte della Rainbow CGI, lo studio d'animazione tutto italiano che con la serie televisiva delle fatine scosciate si è guadagnata notorietà internazionale e ottimi profitti (anche grazie ad una gestione all'americana del merchandise).
Delle molte possibili scuole di pensiero riguardo l'animazione digitale, Rainbow CGI sembra essersi assestata dalle parti della DreamWorks Animation, ovvero cartoni che puntino molto sulla comicità e che siano ricchi di citazioni pop e musica rock. Su un canovaccio classico (l'eroe diventerà tale dopo un addestramento che gli insegnerà anche i veri valori) Gladiatori di Roma organizza una storia per bambini in cui le occasionali strizzate d'occhio agli adulti purtroppo non colmano il gap d'età: nonostante tutto, il film è e rimane un prodotto per l'infanzia. E in questo sta forse la sua peculiarietà maggiore.
Dunque nemmeno l'animazione centrata sulle figure femminili di Straffi è caratterizzata in tal modo per attirare pubblico maschile, quanto per proporre modelli d'identificazione alle bambine che siano diversi e alternativi (nella forma, non nei contenuti) a quelli tradizionali: un po' più audaci, simili a quelli che la società propone alle loro sorelle più grandi. Forse quindi, se si cercasse il segreto del successo di questi prodotti, si dovrebbe prendere questo in considerazione...