Giulia, la recensione

La mitologia di Roma d'estate prevede persone irrisolte che incontrano altri come loro, in spazi svuotati in cui rivedono il loro vuoto interiore, così è Giulia

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Giulia, il film di Ciro De Caro in sala da giovedì 17

Il cinema di peregrinazione estiva è un genere a sé, e tra i suoi luoghi comuni c’è il fatto che si svolga a Roma. Tra le molte mitologie che ha incollate a sé, Roma ha anche quella dell’estate in città, appiccicosa, teatro di esistenze alla ricerca di qualcosa che non trovano, sia effettivamente (la città è sempre vuota come sì sentono vuoti loro, vuota di cose da fare, vuota di gente, vuota di quello che anima una città: le possibilità) sia allegoricamente. Questa volta vagare per Roma e dintorni d’estate serve a raccontare Giulia, ragazza che sembra non riuscire a tenere nulla in mano, precaria in tutto, distaccata da ogni cosa, insofferente ai legami ma poi paradossalmente bisognosa di altre persone di continuo per sopravvivere o anche solo per dormire. Tutto sta per crollare, costantemente, ma poi non avviene.

La forza del film sta tutta nel tono giusto per raccontare l’ordinario senza sfociare nella pretesa di straordinario. Nonostante una storia particolare, Giulia è una ragazza come altre che incontra persone come altre. Eppure tutto è sfuggevole e irrisolto nella sua vita e in quelle delle persone che frequenta, tutti in attesa di un cambiamento che chissà se e quando arriverà. Quando invece il film la separa dai suoi incontri e la fa vagare da sola si capisce quanto guardare lei sia per Giulia (il film) un modo per capire gli altri e quanto quello sia il senso di un film per il quale se proprio dobbiamo trovare un referente occorre citare Estate romana di Matteo Garrone (purtroppo però non ha quella capacità fuori dal mondo di creare un’atmosfera inspiegabile a parole).

Certo Giulia sembra ostentare la sua forma da cinema indipendente all’italiana anche se forse quello non è lo stile di messa in scena che calza meglio di tutti la sua storia e le sue intenzioni; senza contare che chiude tutto con un ritorno al mare in stile I 400 colpi che tuttavia non ha la forza che potrebbe avere, un po’ perché è la seconda volta che ci finisce (anche se nel finale la protagonista fa qualcosa che non aveva fatto prima) e un po’ perché, di nuovo, è stato chiaro lungo il film che più che Giulia il punto è il mondo intorno a lei.

Quando il film si occupa della sua protagonista fa una grandissima fatica a tirare fuori quel che lei ha dentro o anche solo a creare dei momenti che ci avvicinino alla sua irrisolutezza. Certo sa essere un po’ ruffiano quando vuole con un po’ di balli (Yes Sir, I Can Boogie) e il tamburo costante di un umorismo leggero, unito a comprimari di buon livello (come sempre è eccezionale Cristian Di Sante, un attore/personaggio che non è chiaro perché non sia più sfruttato dal cinema) aiutano al digeribilità anche quando il film arranca. Non il massimo ma senza dubbio un deciso passo in avanti rispetto a Spaghetti Story o Acqua Di Marzo.

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