Gipi vol. 1: La terra dei figli, la recensione
Abbiamo recensito per voi La terra dei figli, volume che apre l'opera omnia di Gipi targata Repubblica
Esiste un modo di dire che sintetizza in poche parole quello che per molti è il senso della vita: "Pianta un albero, fai un figlio, scrivi un libro". Dietro a questi imperativi categorici c'è un intero mondo di usi e costumi antichi di secoli legati alla cultura della terra e al tramandare le proprie tradizioni alle prossime generazioni, siano esse sangue del proprio sangue oppure no.
Ne La terra dei figli, volume che apre la collana dedicata all'opera omnia di Gipi proposta da La Repubblica e L'Espresso, il fumettista pisano racconta una storia di una semplicità incredibile, in grado di contenere al suo interno tutti i fallimenti e le speranze possibili. Per farlo, l'autore compie una scelta importante: il racconto incomincia direttamente dopo l'apocalisse.
Questa vicenda è il ritratto di un mondo morente che i figli ereditano dai padri, il manifesto di uno scontro cieco e sordo tra due generazioni che hanno segnato la fine e l’inizio di due ere: prima e dopo un evento traumatico per la vita terrena. Gipi reinterpreta l'apocalisse attraverso il paradigma più antico di tutti: l’incomunicabilità tra genitori e figli, ambientando l’intera storia in un paesaggio rurale che richiama l’antico legame tra uomo e terra, dove le parole d'amore non trovano più terreno fertile per attecchire.
Dopo poche tavole in cui ci si illude che la realtà sia una tabula rasa incontaminata e pronta ad accogliere una nuova epoca per l’uomo, è possibile osservare come la morte abbia cambiato radicalmente le abitudini degli abitanti, diventando un aspetto tangibile e quotidiano della vita. Gli individui che popolano il pianeta sono profondamente cambiati: simili a freak dementi, vivono dei frutti rimasti e si contendono ferocemente la scarsa carne a disposizione. La lingua ha risentito fortemente del cambiamento: ogni conversazione avviene attraverso frasi sgrammaticate e concetti molto basilari in cui vengono reiterati senza significato alcuni termini ancestrali tratti da un'epoca spaventosamente vicina ai giorni nostri.
Se tutto è finito, cosa resta da raccontare? Gli individui che restano. E quando Gipi racconta l'umanità più primitiva e intrinseca che dimora all'interno di ogni individuo, c'è solo da stare in silenzio e ascoltare, come quando il primo uomo si alzò in piedi tra gli altri seduti attorno al fuoco e narrò la vicenda più antica della storia.
Questa graphic novel è, in ordine di tempo, l'ultima inedita dell'autore a essere stata pubblicata da Coconino Press, che la presentò due anni fa in anteprima a Lucca Comics & Games 2016, e rappresenta forse uno dei linguaggi più estremi mai adottati da Gian Alfonso Pacinotti, riassunto da lui stesso in una serie di regole autoimposte:
Non usare la voce narrante. Non usare il colore. Tutte le pagine devono avere la stessa gabbia.
Non mettere mai più di un periodo di testo per balloon.
Se un personaggio fa un gesto, fai una vignetta per quel gesto.
Ricorda i tempi naturali nei dialoghi. Se serve una pausa, fai una vignetta vuota.
Non spiegare niente.
Ricorda e disegna il ciclo naturale giorno/notte.
Rispetta il sole cocente, come la pioggia.
Non fare balloon con i pensieri dei personaggi. Ti vergogneresti per sempre, dopo.
Se un personaggio pensa una cosa, fai una vignetta muta per quel pensiero.
Non usare indicazioni come “intanto”, “il giorno dopo” ecc. Siamo nel 2016.
Se devi indicare un'ellissi temporale, trova il modo, con il disegno di farlo capire.
Se fai uno spiegone in un balloon, dopo, sparati.
Rispetta i personaggi. Non fargli mai fare o dire cose che loro non vorrebbero fare o dire.
Nessuno ti ama abbastanza, quindi rendi la lettura la più semplice possibile.
Quando sei stanco, fai un’altra tavola.
Sì, Gipi le ha rispettate tutte, e l'efficacia risultante è di una bellezza disarmante. La terra dei figli pulsa di vita raccontata con estrema naturalezza, piena di piccole vittorie e scottanti sconfitte. I personaggi non sono mai stereotipati, anche se nella loro essenza malata esprimono le conseguenze di un incessante meccanismo di spersonalizzazione, e dunque anche le loro azioni sono sempre ragionevoli, seppur difficili da metabolizzare.
Il motore narrativo è un diario, ma a differenza di come ci si aspetterebbe in casi simili, non è un macguffin perché, mai come questa volta, rappresenta il fulcro del linguaggio scelto per raccontare la storia, ciò che la rende strettamente interconnessa al medium Fumetto.
Tutto ciò che accade attorno a quell'oggetto inanimato è figlio di desideri, speranze e aspirazioni che avranno un prezzo molto alto da pagare. I personaggi in gioco si muovono oltre i facili confini di bene e male, perché in quella realtà ogni gesto ha un peso importante a causa del desiderio alla base di tutto: la sopravvivenza, non per forza di noi stessi.
Questa storia è un viaggio emotivo in un mondo arido di sentimenti positivi, dove il primo contatto tra gli uomini e la natura è bagnato dal sangue. Riuscire a commuovere utilizzando parole e gesti semplici non è cosa da tutti, come è ugualmente raro riuscire a rappresentare una grande gamma di emozioni e paesaggi solo con l'ausilio del pennino per immagini e parole.
La terra dei figli di Gipi è, probabilmente, uno dei quadri post-apocalittici più interessanti dell'intero panorama culturale mondiale. Nonostante la prima edizione del cartonato sia uscita da più di due anni, la lettura della collana da edicola risulta ancora più attuale, rendendo questo lavoro ulteriormente prezioso.