Il giorno più bello, la recensione

L'adattamento del film di Nakache e Toledano contiene anche la storia di Bonifacci che torna con Luca e Paolo dopo E allora mambo!

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il giorno più bello, in uscita il 9 giugno al cinema

Il canovaccio di C’est la vie (titolo italiano del film francese Le Sens De La Fète) è di quelli micidiali e non stupisce che sia stato adattato. Una squadra di organizza-matrimoni è alle prese con uno sposalizio di alto livello mentre al loro interno succede di tutto, dalla vice con problemi di salute e carattere, ai camerieri improvvisati, i cuochi senza elettricità e l’animatore cantante con velleità, su su fino ad un capo che si danna l’anima per tenere tutto insieme e risolvere ogni problema avendo anche lui ha una questione aperta in corso.
Tutto questo nella versione italiana diventa un po’ meno una corsa indemoniata tra situazioni divertenti e un protagonista che schizza da una parte all’altra per risolverle, e più un film su due personaggi, un intreccio, e un matrimonio di sfondo.

Tutto è plasmato da Fabio Bonifacci, re degli adattamenti italiani (aveva lavorato a È già ieri ma poi ha scritto anche Benvenuti al Sud e L’agenzia dei bugiardi). Ma non è solo l’adattamento del film francese la matrice, dentro Il giorno più bello c’è anche (in un certo senso) la storia di Fabio Bonifacci con Luca e Paolo, di nuovo insieme circa 22 anni dopo E allora Mambo! e Tandem, il primo dei quali rimane ad oggi una delle migliori commedie italiane dei suoi anni, esordio fulminante per tutti. Stavolta Luca e Paolo si scambiano maschere, è Paolo il preciso che tiene tutto insieme e Luca lo scapestrato che sembra non avere interesse in niente se non nel denaro, ma di nuovo (come in E allora Mambo!) c’è una dinamica di doppi giochi e rivelazioni con fini sentimentali.

Sono tutte maniere in cui Bonifacci fa proprio quello script, enfatizzando il triangolo sentimentale di Luca e Paolo, rendendo il film un racconto meno corale e con dei protagonisti più forti. Soprattutto questo script che forse è il primo (tra quelli mainstream italiani) a riconoscere il fatto che c’è stata la pandemia e viviamo in un mondo che ne sconta gli effetti, ci tiene a ritrarre il matrimonio non solo come il posto in cui avviene l’inferno di catastrofi per chi lo organizza ma anche per l’inferno che è per gli invitati. È un po’ meno comico e un po’ più commedia. Cosa che non sempre è una buona decisione.

Il problema è che il film fa una gran fatica a mettere in scena la sua buona sceneggiatura. Non solo la recitazione è davvero davvero poco curata e tutti quelli che non sono in grado di andare da sé ma hanno bisogno di essere accompagnati e diretti, come ad esempio Lodo Guenzi (perché non prendere un vero attore per una parte fantastica come quella??), sono un disastro che affossa il ritmo, ma poi anche proprio la regia non ha la mano sufficientemente ferma per gestire un film così, fatto di ritmo, montaggio e grandi idee di umorismo. È evidente quando anche un gigante come Buccirosso si dibatte per emergere invece di essere lanciato alla massima velocità. E questo è pure un problema di produzione.

Nakache e Toledano, i registi dell’originale (gli stessi di Quasi amici), avevano messo insieme un film dal ritmo implacabile, come una commedia di Blake Edwards, Il giorno più bello invece ogni qualvolta si deve uscire dal seminato standard del campo e controcampo o ogni volta che deve mettere in scena qualcosa di un minimo più complesso si perde, se non proprio sembra realizzato di corsa, con poco tempo a disposizione. Così anche molte parti promettenti sulla carta ne escono depotenziate e il crescendo verso un finale molto dolce non ha l’abbrivio che servirebbe.

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