Gino Bartali, la recensione

Abbiamo recensito per voi Gino Bartali, sentito ed emozionante omaggio al grande ciclista

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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C'è modo e modo di guardare lo sport in televisione, di seguirlo sui giornali, di viverne la passione. Ci sono i modi buoni e quelli cattivi. Quello che pare il migliore a chi scrive sta nel riconoscere il fatto che, come tante cose della vita, lo sport racconta. Lo fa, in particolare, tramite i suoi personaggi, uomini e donne che, prima che atleti e, se capita, campioni sono soprattutto delle persone interessanti. Quando si ha un personaggio sotto gli occhi e quando il contesto lo consente, lo sport è capace di creare delle leggende. Forse più di tutti, se si parla di sport europeo, lo ha fatto il ciclismo.

C'era una volta un'Italia in cui tutti andavano in bicicletta. Era quella del secondo Dopoguerra e, a parte qualche Fiat Topolino, qualche motoretta, qualche Lancia, erano pochissimi quelli che potevano mettersi un motore sotto le natiche. Era l'Italia che doveva scegliere se stare con i cattolici o i comunisti, con l'Occidente o con la Russia, che si divideva su tutto e metteva a ogni cosa un'etichetta. Come adesso, ma con più cuore e meno spocchia fastidiosa, meno esibizione orgogliosa dell'ignoranza. E molto più in grado di mettersi sulle spalle le proprie responsabilità. Tutti andavano o erano andati in bicicletta e non stupisce che all'epoca fosse proprio il ciclismo lo sport più amato e celebrato. Che i ciclisti portabandiera fossero eroi. I due principali, nel 1948, erano il giovane Fausto Coppi, che colpiva l'immaginario di appassionati e meno esperti perché faceva cose in salita che non si erano mai viste, e il grande campione degli anni Trenta, ormai indirizzato al ritiro e alla pensione: Gino Bartali.

Due persone diversissime. Coppi un personaggio quasi da rotocalchi, con storie d'amore chiacchieratissime, una vita sotto i riflettori, una personalità particolare. Bartali era un uomo di cultura popolare, che parlava come mangiava, sempre con l'opinione in tasca e nessuna paura di sbatterla in faccia a giornalisti e ascoltatori delle onnipresenti radio. Bartali era un italiano e un toscano di quelli da stereotipo: burbero quanto simpatico, attaccato alla sua vita semplice, capace di soffrire e di sopportare come pochi. Il campione contadino, che vince di carattere e testardaggine. Una volta, l'etichetta dello sport italiano era questa. Per lui, però, era la vita vera.

Ed è proprio bello vederlo emergere nel lavoro di Andrea Laprovitera e Iacopo Vecchio, nel loro volume intitolato semplicemente Gino Bartali. Nome e cognome. E basta. Ginettaccio avrebbe apprezzato. Lo stesso che sfruttava, negli anni del Fascismo, prima e dopo l'8 Settembre, la propria fama e la scusa degli allenamenti per trasportare documenti falsi nella canna della sua bicicletta che hanno salvato la vita a chissà quanti. Lo stesso Gino che su due ruote ha tentato di salvare, una notte maledetta, un figlio morente. E poi morto. Lo stesso Bartali che, pedalando, aveva creato con suo fratello Giulio un legame fortissimo, reciso dalla tragedia.

Paolo Conte, in una famosa canzone, ha parlato della passione che Bartali sapeva comunicare e che sapeva trasferire ai suoi tifosi, ai religiosi del ciclismo. Vai al cinema, vacci tu. Io sto qui, aspetto Bartali. Un personaggio tragico e per questo potente, che ha incarnato, negli anni più difficili e per questo forse più gloriosi del nostro Paese, una forza d'animo di cui ci sarebbe bisogno sempre, ancora, di più. Magari. E che Laprovitera ha infilato, maledetto lui, in questo volume rispettosissimo del personaggio e del suo spirito, delineando i contorni di un eroe nutrito di umiltà e normalità, di schietta fiducia nei propri mezzi, che ha vinto ripetendosi che un'altra pedalata ancora, tutto sommato si può anche fare. Contro tutti, contro l'età avanzata, che al Tour del '48 segnava l'ultima fase della sua carriera.

Sempre Paolo Conte, prende in giro i Francesi che si incazzano, che ci rimasero malissimo quando un ciclista dalla parte sbagliata dei trent'anni ha portato via ai loro beniamini la Grande Boucle. Il cantautore dipinge nella sua canzone un naso triste da italiano allegro. E così fa Iacopo Vecchio, che dipinge, con i suoi acquerelli, l'estetica ammirevole di un'Italia che non c'è più, che la illustra ricreando un'atmosfera passata, ma viva ed emozionante.

Gino Bartali è un volume di una semplicità narrativa e visiva disarmante, ma proprio per questo emoziona. Ancora di più se avete ammirato e conosciuto, se vi ricordate di un corridore che ripeteva sorridendo: "l'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare". Perché anche lui era di una semplicità disarmante. Dopotutto, cosa ci vuole a vincere il Giro? Cosa ci vuole a vincere il Tour nel 1948, con un'Italia sull'orlo di una guerra civile, con il ricordo di un fratello perduto, con troppi chilometri sulle spalle, con i giornalisti e i tifosi che ti danno per cotto, con avversari fortissimi avanti di venti minuti? Cosa ci vuole? Gambe e cuore. Semplice. Semplici.

Amanti dello sport, appassionati di ciclismo, ammiratori del personaggio, lettori che hanno voglia di un bel fumetto, sappiate che Gino Bartali ci ha commossi. Ci sono buone possibilità che lo faccia anche con voi, perché coglie il personaggio e la sua epoca con precisione. Un personaggio e un'epoca che non lasciano indifferenti.

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