[Giffoni 2016] Rara, la recensione

Senza concessioni alla ruffianeria, un vero film sull'infanzia come Rara è una benedizione

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Non è facile capire chi siano i veri protagonisti di Rara, se le due bambine tra i 13 e i 9 anni o se le due madri. Perché non è facile capire cosa nel film sia in primo piano. La lotta per le due mamme per tenere con sé le figlie dopo il divorzio di una delle due e contro le insistenze del padre (lui non crede che una coppia lesbica possa crescere le sue figlie) grazie alla sua attualità è un polo potentissimo del film, uno che tutto attrae verso di sè, ma è anche vero che la prospettiva è sempre quella delle bambine e i problemi cocenti sono i loro, quelli delle cotte per i ragazzi, le feste che non vanno in porto (o forse sì) e dei gattini da adottare. Proprio questo rende Rara un film quasi unico, preoccupato dei temi più futili e capace di renderli il centro emotivo della faccenda, il fuoco che alimenta i problemi degli adulti.

Molti attraverso i film si sono chiesti quali siano le conseguenze sui figli dei divorzi o delle beghe sentimentali dei genitori, nessuno però è riuscito a ritrarre il quotidiano con la sua insistenza e la sua prepotenza, nessuno come Pepa San Martin è riuscito a rendere il peso specifico che i problemi del mondo privato dei bambini hanno in queste situazioni.
Le bambine di Rara cercano come tutte di manipolare i genitori, sfruttano il loro livore, li fanno ingelosire e spesso scatenano o inaspriscono i conflitti, insomma non aiutano eppure sono le prime a soffrirne. In questa dinamica doppia, in questo doppio vincolo di infantilismo e sofferenza, il film gioca la sua partita e si dimostra di una complessità ammirevole, una da cui scaturisce una tenerezza autentica e mai ruffiana. Addirittura anche il padre omofobo, interpretato benissimo da Daniel Munoz, ha le sue motivazioni, anche il suo pensiero e il suo agire hanno delle radici comprensibili.

In più Pepa San Martin non dimentica la forma e usa una luce stranissima, metallica, che desatura un po' i colori per proiettare le faccende ordinarie in un mondo piatto, fatto di pochi totali e molte inquadrature strette; monta tutto con una brutalità non da poco, come a voler affiancare scenette che compongono un totale senza collegarle troppo. Spesso ci priva delle conversazioni importanti degli adulti per seguire la maniera episodica in cui i bambini ne hanno coscienza, perchè non tiene davvero alle schermaglie d'affidamento (per quanto tutto parta da una storia vera), tiene solo alle facce tristi di una quasi adolecente un po' cicciottella che non ha ben capito che pensare delle due mamme, e che soprattutto vorrebbe solo che tutto questo non le creasse altri problemi oltre a quelli, normalissimi e comuni a tutte le sue coetanee, che ha a scuola. Come si capisce la recitazione non può che avere un peso superiore al solito e sembra essere la parte di messa in scena che colma il gap tra le buone intenzioni e l'ottimo risultato.
A tutti quelli che piazzano un bambino in un film piace dire di aver fatto un film "dalla parte dei bambini", pochissimi ci riescono come Rara.

Continua a leggere su BadTaste