[Giffoni 2016] Rag Union, la recensione
Vitali e mortali al tempo stesso, impegnati e disimpegnati, uniti e pronti a crollare, Rag Union è un ritratto liberissimo
È difficilissimo fare e concepire un film come Rag Union, uno che come i suoi protagonisti non ha nessun intento serio, nessuna morale se non quella dell'affetto onesto e privo di retorica, nessuna concretezza nei suoi proclami a cui non crede nessuno. I 4 della Rag Union sono più sinceri quando compongono una piramide umana in 4 uno sopra l'altro, di quando progettano di far saltare la testa della statua di Pietro il Grande a Mosca, sono più uniti quando vanno a prendere uno di loro alla visita di leva che quando meditano scemissimi atti artistici.
E per fortuna Mikhail Mestetskiy non ha intenzione di essere più serio di loro, li riprende con lo stile libero più felice e soprattutto li scrive con la libertà di farli scontrare e reincontrare, senza temere nemmeno la morte e il ritorno dalla morte. Con un po' di vitalità funerea di Kusturica e un po' di spensieratezza da Nouvelle Vague (ma senza quella gravitas), Rag Union è un felice inno, una corsa bellissima.
Le aspirazioni sono ai minimi storici per questo film e forse proprio per questo sembra così sorprendentemente riuscito, così felice nel mettere in scena baracche ricostruite, impossibili visioni e una serie di immagini di grande efficacia su un desiderio di morte latente eppur presente in un gruppo di idealisti immersi nella più bieca umanità russa (che poi non è diversa dagli equivalenti di altri paesi).