Giallo - La recensione

Uno spietato maniaco rapisce e uccide donne bellissime, mentre un poliziotto è pronto a tutto pur di fermarlo. Il nuovo film di Dario Argento conferma la morte creativa di questo autore...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Giallo
RegiaDario ArgentoCast
Adrien Brody, Elsa Pataky, Emmanuelle Seigner, Valentina Izumi, Luis Molteni, Robert Miano
uscitaHome video
 

Vedere gli ultimi film di Dario Argento è un po' come assistere a un'incidente in diretta. Sai che non potrai fare nulla, ma per qualche assurda ragione vuoi convincerti che non ci saranno conseguenze gravi e che magari si può sperare per il meglio. Alla fine, i risultati sono drammatici e irrimediabili. O magari talmente orridi da risultare quasi comici.

Piacerebbe ovviamente dire qualcosa di diverso su un autore che ha fatto la storia del cinema (non solo italiano, ma mondiale) e che ha insegnato a molti registi internazionali come fare thriller visionari e potenti. Ma è impossibile credere al lavoro di Argento se lui per primo mostra chiaramente di non esserne per nulla convinto. E con lui, attori e comparse, che recitano come se fossero con la testa altrove, tanto che in diverse occasioni sembra che quello che avviene sullo sfondo delle sequenze sia totalmente fuori controllo.

E' difficile fare l'elenco delle scene e dei momenti assurdi di Giallo. Quello che si può dire è che non raggiunge i livelli di idiozia de Il cartaio (anche perché Adrien Brody recitando addormentato sarebbe comunque più bravo di Silvio Muccino). Ma, d'altra parte, la totale follia di quella pellicola la rendeva estremamente divertente, cosa che difficilmente si può dire di questa. Insomma, bella lotta.

Giallo è un film in cui non c'è un personaggio credibile neanche a pagarlo a peso d'oro. Il protagonista, un poliziotto che forse è anche più pazzo del maniaco, è il tipo che entra in casa di un sospettato senza aspettare i rinforzi o che non fa una piega dopo che una persona gli muore tra le braccia. Addirittura, arriva a raccontare un episodio fondamentale della sua vita (evento che peraltro è insensato e delirante) con una disinvoltura incredibile. Di certo non aiuta un Adrien Brody troppo caricato, che tenta disperatamente di esprimere una grande profondità, quasi come Orson Welles in certe pellicole di serie Z che lo vedevano protagonista negli anni sessanta.

E che dire del cattivo, che sembra la versione deforme e scema del villain de I guerrieri della notte, talmente inetto e ridicolo da far venire il dubbio di come abbia potuto mettere in scacco la polizia? In questo senso, Argento si supera. Vediamo infatti una stazione della polizia in un palazzo elegantissimo (ma il regista ci è mai entrato dalla polizia o dai carabinieri italiani? Ha mai visto quanto sono orrendi questi posti?), il caso di un pluriomicida affidato a un unico poliziotto e una perquisizione a casa del sospettato in cui ognuno va per conto suo. Verrebbe quasi da pensare che Argento voglia attaccare questa istituzione, ma sarebbe una scelta fin troppo seria per un prodotto così infimo e superficiale.

Finita qui? Magari. Perché dobbiamo ricordare che diversi personaggi vengono doppiati (con risultati degni delle tettone bionde dei cinepanettoni), una trama ridotta all'osso e in generale una quasi totale assenza di tensione. Verrebbe da sperare che almeno ci siano dei momenti eccessivi, ma sono pochi. Penso a una scena in cui il protagonista inetto insegue il serial killer e se lo fa sfuggire in maniera ridicola. O magari una vittima che fa di tutto per far arrabbiare il maniaco (gran bella idea...). A questo punto, il finale insulso e stupidamente aperto è la perfetta ciliegina su questa torta rancida.

Va detto ovviamente che tanti dei difetti elencati erano presenti anche nei massimi capolavori di Argento, che però contenevano un tasso di visionarietà e virtuosismi tecnici che innalzavano tutto a ben altro livello (basti pensare a Suspiria, che ha un inizio sotto la pioggia simile a Giallo, ma con risultati artistici diametralmente opposti). Argento, insomma, è un po' come gli zombi di Romero: lento, triste e decisamente fuori tempo. Liberissimo di decretare la morte del cinema italiano come ha fatto recentemente. Ma forse sarebbe meglio preoccuparsi del suo stato personale, che è decisamente peggiore...

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