G.I. Joe - La Vendetta, la recensione

Molto più secco, deciso e spensierato del suo predecessore, questo secondo film sui giocattoli Hasbro centra il tono e trova un senso finalmente appropriato...

Critico e giornalista cinematografico


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Ci voleva Jon M. Chu, un regista con un passato nel cinema di danza, per riportare in vita G.I. Joe dopo il disastro di Stephen Sommers.

La vendetta rimette in sesto la serie, la aggancia ancora più di prima alla sua radice (le action figure) e si dedica solamente a fare una buona azione senza la pretesa di imbastire linee sentimentali. Il mondo creato e mosso da Jon M. Chu è quello ideale e slegato da ogni contingenza in cui ciò che trionfa in primis è l'estetica del corpo.

Partendo dal fisico immenso di Dwayne Johnson e passando per quelli di Elodie Yung e Adrianne Palicki, fino al volto di Bruce Willis (che fisicamente tende a scomparire a confronto degli attori action figure), il secondo film dai giocattoli Hasbro punta tutto sul movimento e in questo senso riesce a concepire momenti di grande intrattenimento (la sequenza sulle montagne) e a trovare una maniera propria e originale di mettere in scena i consueti scontri.

La trama non è certo il punto di forza (così come non risulta essenziale la riconversione 3D, pur ben realizzata), l'espediente della minaccia mondiale sembra uscito da un film di spionaggio anni '60 e non è trattato nemmeno con l'enfasi (o al massimo l'ironia) che meriterebbe, tuttavia se uno scopo e un senso doveva avere questo film era portare al cinema una saga che sapesse distinguersi nel mare del cinema d'azione.

John M. Chu, con il suo senso pratico e il suo fare asciutto, sembra aver concepito un capitolo di una storia a fumetti statunitense, alternando momenti di quiete e spensieratezza a situazioni rischiosissime, in cui si muovono personaggi dalla fisicità e dalle mosse stilizzate. Se il cinema dei supereroi in maniera esplicita attinge al fumetto, G.I. Joe - La vendetta con fare sottile rimanda alle sue strutture e si appoggia a quel tipo di narrazione seriale per mettere in piedi una storia autoconclusiva inserita in una parabola più grande, con il villain che inevitabilmente fugge battuto ma non deceduto e la minaccia sconfitta solo... temporaneamente.

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