Ghostwire: Tokyo, un titolo sospeso tra due mondi | Recensione

Dopo aver completato l'intera campagna principale e tutte le missioni secondarie, siamo pronti per parlarvi di Ghostwire: Tokyo

Condividi

Sin dalle sua prime apparizioni, Ghostwire: Tokyo ha dimostrato di nascondere diverse anime all'interno del proprio corpo. Se il trailer di annuncio sembrava mettere in mostra inquietanti atmosfere horror, il primo video di gameplay ha chiarito sin da subito come il titolo fosse un action in prima persona. Sono passati i mesi e, gradualmente, i ragazzi di Tango Gameworks hanno cercato di fare chiarezza. Oggi, a pochi giorni dalla release ufficiale, possiamo finalmente dire di aver capito che tipo di gioco sia Ghostwire: Tokyo.

Come potete leggere nel link che trovate qui sopra, la scorsa settimana vi abbiamo raccontato le nostre impressioni maturate durante i primi due capitoli dell’opera diretta da Kenji Kimura. Capitoli che ci hanno convinto grazie a un world building accattivante e un Combat System appagante. Dopo aver portato a termine la campagna principale e tutte le missioni secondarie, siamo qui oggi per tirare le somme su Ghostwire: Tokyo. Sarà riuscito a conquistarci lungo tutta la durata dell’avventura, oppure il meglio lo abbiamo visto nelle prime sette ore di gioco?

UN MONDO MAGICO

Per coloro che non sapessero ancora nulla sulla trama di Ghostwire: Tokyo, facciamo un breve riassunto. Akito è un ragazzo ventiduenne che, dopo un incidente in moto presso l’incrocio di Shibuya, si risveglia in una Tokyo popolata da spiriti. Come se non bastasse, la voce di un detective del sovrannaturale di nome KK comincia a ronzargli in testa. Le due anime chiuse nello stesso corpo fisico scoprono quindi che la causa di quella situazione è un misterioso individuo con indosso una maschera Hannya. Per riuscire a fermare un folle rituale, Akito e KK dovranno imparare a collaborare mentre tentano di sopravvivere a orde di creature provenienti dal folklore giapponese.

Partiamo dal punto di forza della produzione: il world building. L’atmosfera che si respira in Ghostwire: Tokyo è sensazionale. Ogni singolo elemento sprizza il carisma tipico dell’Oriente, permettendoci di soprassedere su moltissimi aspetti. Le meccaniche di questing, per esempio, sono molto datate e si ha spesso la sensazione di star affrontando missioni di un gioco di due generazioni fa. Il fascino di queste piccole avventure le rende però estremamente interessanti e questo ci ha spinti a completare ogni singola storia secondaria prima di scrivere questa recensione. Se amate il Giappone, potete smettere anche ora di leggere e prenotare immediatamente il titolo di Tango Gameworks. Non ve ne pentirete.

La musica cambia, purtroppo, quando si parla della main quest.

Quando abbiamo scritto l’anteprima dei primi due capitoli di Ghostwire: Tokyo pensavamo di essere ancora lontani dal finale, senza renderci conto di essere quasi a metà dell’avventura. Il risultato è una storia scialba e prevedibile, che non rispetta le promesse mantenute nella prima parte di gioco. Anche il rapporto tra Akito e KK, molto interessante all’inizio, evolve in modo brusco e tenta di emozionare (senza riuscirci) nel finale. Immensa delusione anche per le principali boss fight, che possiamo definire rapide e noiose. In un paio di situazioni lo scontro non è durato più di pochi minuti, permettendoci di vincere la sfida senza quasi rendercene conto. Il primo boss davvero interessante è quello finale, che presenta più fasi e ci è sembrato in linea con le altre produzioni di questo tipo. Un vero peccato, visto il divertente sistema di combattimento ideato dal team nipponico.

Ghostwire: Tokyo

TRA TESSITURE E TALISMANI

Ghostwire: Tokyo è un titolo molto divertente da giocare. Per tutte le ventisei ore necessarie a completare l’avventura prodotta da Bethesda ci siamo realmente intrattenuti, vagando per il mondo di gioco nella speranza di imbatterci sempre in nuovi elementi narrativi e ludici. L’idea di sostituire le armi da fuoco con i colpi magici denominati “Tessiture” è sicuramente una mossa vincente, che sorprende soprattutto dal punto di vista estetico. La presenza di talismani e dell’arco contribuisce poi a rendere gli scontri più tattici, permettendoci anche di approcciare alcune situazioni attraverso lo stealth.

Il problema principale del titolo diretto da Kimura è che dopo le prime sette ore di gioco non subentrano nuovi elementi di gameplay. Il risultato è un gioco che, rispetto agli altri open world, risulta corto e scarno. Il nostro consiglio, infatti, è di avvicinarsi a questa produzione con l’idea di star giocando a un titolo story driven, ma sparso su un’area di gioco più vasta del normale. Le strette vie di Tokyo contribuiscono a trasmettere questa impressione, donando al tutto una sensazione di linearità che abbiamo apprezzato. Certo, ci sarebbe piaciuto trovare qualcosa di nuovo nella seconda metà di gioco, ma possiamo comunque dirci soddisfatti dell’esperienza finale. 

La già citata atmosfera magica che avvolge la produzione contribuisce però anche all’esplorazione del mondo di gioco. Il fascino che avvolge ogni singola via di Shibuya continua a mantenerci incollati al pad ancora oggi, spingendoci a raccogliere tutti i numerosi collezionabili sparsi per la città. Non vogliamo ancora abbandonare Ghostwire: Tokyo e ci auguriamo che questa avventura di Akito e KK possa trasformarsi nel primo capitolo di una saga.

Ghostwire: Tokyo

ESTETICA NIPPONICA

Se i modelli poligonali dei personaggi non hanno saputo mai davvero esaltarci, lo stesso non si può dire del design di ogni singolo elemento di gioco. Nemici, ambienti e particellari ci sono rimasti stampati negli occhi, facendoci soprassedere anche a una poca varietà di avversari e a qualche texture in bassa definizione. Il mondo che ruota attorno a Ghostwire: Tokyo è davvero impressionante e camminare tra le strade di Tokyo non è mai stato tanto bello. Semplicemente meravigliosa la colonna sonora, che offre ottimi brani strumentali e una soundtrack composta da brani Lo-Fi davvero encomiabile (e che abbiamo rapidamente inserito nella nostra playlist). 

Segnaliamo, infine, un utilizzo magistrale del DualSense. Forse il migliore da molto tempo a questa parte. Ogni azione di Akito è trasmessa al pad di PlayStation 5 e la possibilità di usare il touchpad per compiere i rituali di esorcismo ci ha sinceramente sorpreso. Questo ovviamente comporta un consumo molto rapido della batteria del DualSense, ma è  ovvio che non si tratta di una colpa che intendiamo far ricadere su Ghostwire: Tokyo. 

Ghostwire: Tokyo è la prova concreta di come una buona atmosfera possa salvare un intero titolo. L’opera di Tango Gameworks è lontana dall’essere perfetta e ci ha seriamente deluso per quanto riguarda la trama principale. L’immenso lavoro di world building ci ha fatto però innamorare del gioco, mantenendo i nostri occhi incollati allo schermo. Ghostwire: Tokyo è una gemma che, se saprete apprezzare, vi regalerà grandi emozioni. Un titolo carismatico che, per i fan del folklore giapponese, risulta semplicemente imperdibile. Se non vi affascina il design e il mood, invece, il nostro consiglio è di ponderare con attenzione l'acquisto, in modo da evitare possibili delusioni.

Continua a leggere su BadTaste